Le disuguaglianze territoriali in Italia, nell’epoca della Pandemia e oltre
di Carmen Vitale
Le disuguaglianze territoriali all’epoca della globalizzazione.
Nell’ultimo ventennio in tutto l’Occidente, le disuguaglianze territoriali si sono moltiplicate.
Un’analisi OCSE mostra che fra 1995 e il 2014 lo squilibrio in termini di reddito pro-capite tra settori della popolazione, in costante crescita quasi ovunque, è molto più accentuato nei paesi meno sviluppati (https://www.oecd.org/els/soc/49499779.pdf).
Negli ultimi anni, si è assistito in ambito internazionale al proliferare di una serie di studi relativi alla costruzione di indicatori compositi che valutano complessivamente la qualità della vita e dello sviluppo “oltre il PIL” (ne danno conto, Cersosimo, Nisticò, Un paese disuguale: il divario civile in Italia, Stato e mercato, n. 98, 2013, 265). In questa accezione più ampia, il tema delle disuguaglianze territoriali si lega a quelle sociali (v. anche infra) e diventa cruciale nelle politiche europee e globali per il raggiungimento dello sviluppo sostenibile (https://www.agenziacoesione.gov.it/comunicazione/agenda-2030-per-lo-sviluppo-sostenibile/).
Del resto, già tra gli obiettivi fondanti dell’Unione (https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:11957E/TXT&from=BG) la coesione territoriale (oltre che sociale ed economica) è considerata uno degli strumenti principali per la definizione di una cittadinanza europea.
A fronte di pressioni crescenti che rischiano di minare le fondamenta del progetto comunitario da più parti (le conseguenze della Brexit, le crisi economiche, i fenomeni migratori verso l’Europa, le incertezze nella gestione dell’emergenza sanitaria); diventa allora indispensabile verificare l’efficacia(http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01075261.pdf) delle politiche di coesione per la riduzione delle disuguaglianze territoriali.
Le disuguaglianze territoriali in Italia.
In Italia, in particolare, la disuguaglianza territoriale (https://www.oecd.org/governance/oecd-regions-and-cities-at-a-glance-26173212.htm) è un nodo irrisolto sin dai tempi della formazione dello Stato unitario nel 1865.
I dati mostrano, infatti, come in tema di disuguaglianze, l’Italia (https://www.istat.it/storage/rapporti-tematici/territorio2020/capitolo_1.pdf).
sia sostanzialmente una somma di differenti paesi nel paese, diversi almeno quanto lo sono tra loro gli stati dell’Unione europea.
Tuttavia, se in un primo tempo, il divario territoriale è stato analizzato essenzialmente nella prospettiva economica, sul presupposto che lo sviluppo economico avrebbe determinato automaticamente anche il benessere sociale, più di recente si è osservato come il divario civile, (vale a dire quello legato al diverso grado di godimento dei diritti di cittadinanza) sia ben più marcato di quello economico (https://www.istat.it/it/benessere-e-sostenibilit%C3%A0/la-misurazione-del-benessere-(bes)/gli-indicatori-del-bes). Per altro verso, al classico divario Nord-Sud, si affianca un crescente divario Est-Ovest (https://www.lavoce.info/archives/63028/le-tante-italie-della-diseguaglianza/)
La Strategia nazionale per le aree interne.
Su questi temi, va richiamata la recente approvazione, nel quadro delle politiche europee di coesione, della Strategia Nazionale per le aree interne, territori fragili che, in ragione della distanza dai principali centri di erogazione dei servizi (di mobilità, salute e istruzione) sono interessate da fenomeni di abbandono, spopolamento e ritardo nello sviluppo(https://www.agenziacoesione.gov.it/strategia-nazionale-aree-interne/).
Il dato nuovo della SNAI è però aver immaginato traiettorie di sviluppo locali, secondo un approccio place based, che partono dal riconoscimento (e dalla valorizzazione) delle specificità dei luoghi e muovono secondo due direttrici principali: valorizzazione delle risorse naturali e culturali e coinvolgimento attivo delle comunità locali (https://ec.europa.eu/regional_policy/archive/policy/future/pdf/report_barca_v0306.pdf).
Non è possibile, ad oggi, valutare definitivamente gli effetti della Strategia. E’ possibile tuttavia indicarne qualche elemento di debolezza: il procedimento (dall’individuazione delle aree alla progettazione degli interventi) vede il coinvolgimento di tutti i livelli istituzionali rischiando di generare complessità procedurale e ritardi nell’attuazione; proprio rispetto al tema del coinvolgimento delle comunità locali in alcune aree si evidenzia la maggiore difficoltà, sia per ragioni di contesto (qualità istituzionale su cui infra), che per l’oggettiva difficoltà che incontra ancora la disseminazione delle c.d. buone pratiche di cittadinanza attiva e consapevole.
Gli effetti della Pandemia sulle disuguaglianze territoriali
In questa cornice di massima, la Pandemia da Covid 19 ha ulteriormente aggravato i divari territoriali esistenti. La risposta delle diverse aree geografiche italiane all’emergenza sanitaria è stata infatti disomogenea e disarticolata sotto diversi profili (http://www.astrid-online.it/rassegna/2020/07-04-2020-n-316.html): rispetto all’adeguatezza dell’organizzazione territoriale del servizio sanitario, (allegato8029029.pdf (quotidianosanita.it), ma anche all’effettiva garanzia del diritto di istruzione (https://www.istat.it/it/files//2020/04/Spazi-casa-disponibilita-computer-ragazzi.pdf.) o ancora con riguardo alla fruizione (virtuale) dei contenuti culturali.
A fronte di dati che mostravano, già prima della Pandemia, non solo il perdurare del divario ma addirittura una sua accelerazione (http://lnx.svimez.info/svimez/rapporto-2019-tutti-i-materiali/), la questione del divario territoriale (in particolare quello tra Nord e Sud Italia) è rimasta sostanzialmente in ombra rispetto ad altre priorità dell’agenda politica, prevalentemente a causa del fallimento degli interventi messi in campo nei decenni passati e nonostante il rilevante impiego di risorse pubbliche, oggetto di sprechi e gestioni inefficienti a livello locale..
Dalle disuguaglianze territoriali alle disuguaglianze sociali. Inclusione e Coesione nel PNRR italiano.
L’attualità mostra, invece, una rinnovata attenzione ai temi legati più in generale allo sviluppo del Mezzogiorno e delle aree non adeguatamente sviluppate. Lo si deve, in particolare, all’approvazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Dipartimento per le Politiche Europee – Piano nazionale di ripresa e resilienza) nell’ambito del Next generation EU, che tra i suoi obiettivi generali vede proprio la coesione sociale, economica e territoriale (missione 5, inclusione e coesione).
Più nel dettaglio, si prevede lo stanziamento di 19.8 miliardi di euro (6.66 per le politiche per il lavoro; 11.17 per infrastrutture sociali, famiglie e terzo settore, 1.98 interventi speciali per la coesione sociale, di cui 83 milioni destinati alla SNAI).
Come si vede, la parte più significativa delle risorse viene destinata alle c.d. infrastrutture sociali. In proposito, occorre sottolineare come proprio il Terzo settore abbia costituito una rete di protezione importante per far fronte all’emergenza specie nei contesti marginali. Tuttavia, al crescere dei bisogni e in assenza di un adeguato supporto molte realtà nel post pandemia si sono viste costrette a contrarre le proprie attività (https://www.repubblica.it/solidarieta/volontariato/2020/11/12/news/terzo_settore_e_pandemia_dopo_tutto_questo_ad_aiutare_chi_resta_indietro_non_ci_sara_nessuno_-274110678/).
Nel Piano si evidenzia, inoltre, il ruolo delle istituzioni locali nella co-progettazione degli interventi assieme al Terzo settore, con particolare riguardo agli ambiti della cultura e dello sport, ritenuti centrali per ottenere una maggiore inclusione sociale. Particolare rilievo viene poi attribuito a progetti volti alla riqualificazione dell’abitare, e ad interventi di housing sociale, anche attraverso una pianificazione integrata e partecipata da parte delle Città metropolitane (dove l’integrazione riguarda tanto i soggetti, che gli oggetti della pianificazione includendo i territori dei comuni limitrofi più piccoli con l’obiettivo di ricucire il tessuto extra urbano).
Ovviamente occorrerà verificare l’attuazione del Piano, che però indubbiamente apre una serie di questioni di non poco rilievo, legate essenzialmente all’attuazione delle riforme c.d. “trasversali” (pubblica amministrazione, giustizia, fisco), destinate ad incidere in misura significativa sulla capacità degli interventi immaginati per la soluzione dei problemi fotografati nel Piano.
E’ stata sottolineata, ad esempio, la relazione tra qualità istituzionale e disuguaglianze territoriali. In proposito, come si legge nello studio condotto dalla London School of Economics (https://ot11ot2.it/approfondimenti/coesione-disuguaglianze-e-qualita-istituzionale), aver trascurato la dimensione istituzionale locale nelle politiche di sviluppo è una delle maggiori cause di quelle che vengono definite “strategie di spreco”, ovvero la realizzazione di interventi che, dopo effetti positivi di breve termine, lasciano il territorio in una condizione simile o peggiore di quella precedente. La dimensione istituzionale delle politiche di sviluppo consente invece di trasformare le “strategie di spreco” in “strategie di guadagno”, ossia in interventi che possono produrre risultati più sostenibili nel medio-lungo periodo e generare valore aggiunto anche nella capacità di affrontare al meglio i temi della coesione e delle disuguaglianze territoriali e sociali.
E’ stato osservato, tuttavia, https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2021/05/COMMENTO-DI-SINTESI_PNRR_FORUMDD.x96206.pdf, che rispetto ai temi indicati, nel Piano mancherebbero un adattamento delle azioni indicate alle differenze territoriali ed alle varie forme di marginalità territoriale e una visione unitaria rispetto al tema dei divari territoriali, che non può risolversi in singoli strumenti di intervento (per di più residuali), ma richiede invece una metodologia di intervento pubblico rivolta ai luoghi e alle persone (https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2020/07/Liberiamo-il-potenziale-di-tutti-i-territori-La-proposta-e-gli-allegati_DEF.x61577.x96206.pdf).
Più in generale, occorrerebbe un monitoraggio aperto e costante sul modello di open coesione (https://opencoesione.gov.it/it/ ) dell’attuazione del Piano, per verificare l’idoneità delle azioni previste a realizzare un effettivo miglioramento del benessere collettivo e scongiurare il rischio che il Paese torni ad essere esattamente com’era prima della Pandemia.
Ma come è stato sottolineato siamo all’inizio. All’inizio dell’inizio.
Condivido con l’autrice che il tema dei divari territotiali sia uno dei fattori che maggiormente rischia di ostacolare la stessa attuazione del pnnr. Sotto questo profilo, senz’altro utile lo stanziamento previsto per la SNAI, la quale tuttavia andrebbe senz’altro ampliata nell’ambito territoriale di applicazione e soprattutto coordinata con le altre strategie di sostegno ai piccoli comuni. Mi riferisco in particolare alla condizionalità prevista dalla SNAI della attuazione degli interventi in forma associata, che non “dialoga” con le norme regionali di sostegno ai processi di Unione.
Quanto al PNNR, la debolezza strutturale della nostra amministrazione locale poteva essere forse affrontata in una prospettiva più ampia, inserendo finalmente tra le riforme abilitanti un intervento incisivo a favore dei processi di Unione e fusione.
E’ vero. Uno dei punti di forza della SNAI avrebbe dovuto essere proprio la gestione associata degli interventi, ma il quadro regolativo è frammentato e settoriale e scollegato rispetto al resto. In questo senso, quello che avrebbe dovuto essere uno dei punti di forza della Strategia ne diventa uno dei fattori di debolezza