Tra carri armati, sanzioni e stato di diritto
di Federico Petrangeli, consigliere parlamentare presso il Senato della Repubblica
1. Il 24 febbraio 2022, mentre i carri armati russi, oltrepassato il confine, si dirigevano verso Kyiv, la Gazzetta ufficiale dell’Unione europea pubblicava un avviso peculiare. Il giorno precedente, 23 febbraio, il Consiglio dell’Unione aveva approvato, all’unanimità, misure restrittive nei confronti di persone ed entità giuridiche responsabili di aver attentato all’integrità territoriale e alla sovranità dell’Ucraina, in quanto più o meno direttamente collegati al riconoscimento, da parte di Mosca delle cosiddette “repubbliche separatiste” di Donetsk e Luhansk. In questi territori operavano da tempo formazioni militari collegate al Cremlino, che avevano allestito strutture di governo alternative a quelle legittime. Il riconoscimento “internazionale” di queste entità da parte della Russia, oltre ad attentare formalmente ai confini ucraini, era anche un chiaro segnale della pressione crescente di Putin su Kyiv, che avrebbe portato all’invasione del giorno successivo.
La lista dei “sanzionati” comprendeva personaggi di primo piano, a cominciare dal primo ministro, passando per il ministro della difesa, diversi generali, e oligarchi vari. Nei loro confronti il Consiglio imponeva il congelamento dei beni e il divieto di ingresso nel territorio dell’Unione. Nel linguaggio neutro e impersonale di una comunicazione di garanzia (e nelle 24 lingue ufficiali dell’Unione), l’avviso ricordava alle persone sanzionate i diritti di difesa riconosciuti loro dal diritto dell’Unione, prospettando le diverse opzioni disponibili:
- a) presentare alle autorità degli Stati membri pertinenti una richiesta per poter utilizzare i fondi congelati per esigenze di base o per effettuare pagamenti specifici;
- b) presentare al Consiglio (entro il 1° giugno 2022), la richiesta di riesaminare la decisione;
- c) presentare ricorso contro la decisione dinanzi al Tribunale dell’Ue.
Quella del 24 febbraio 2022 era una pubblicazione di routine, che non derivava dall’eccezionalità della situazione, ma da un preciso obbligo giuridico Ma proprio qui stava (e sta) il suo carattere eccezionale e simbolico. Da un lato ci sono i carri armati di un Paese che aggredisce il suo vicino. Dall’altro un documento ufficiale che ricorda agli aggressori i rimedi giuridici che possono attivare, contro le misure che hanno subìto, proprio in virtù del loro coinvolgimento in quell’aggressione. Sulla falsariga di questa dialettica si propongono a seguire alcune osservazioni derivanti da due sentenze della Corte di Giustizia UE.
2. I due casi riguardano personaggi noti: Violetta Prigozhina, madre del defunto Yevgeniy Prigozhin, fondatore del gruppo Wagner e Nikita Mazepin, pilota di automobilismo e figlio di Dmitry, importante oligarca legato al Cremlino. Prigozhina è sottoposta a sanzione (proprio nel pacchetto adottato il 23 febbraio 2022), in quanto titolare di una società appartenente al gruppo Concord, fondato dal figlio. Mazepin è sanzionato perché il padre che, sponsorizzando il team di Formula 1 Haas, gli avrebbe garantito un ingaggio da pilota. In occasione di successivi rinnovi della sanzione (a marzo e a settembre 2023), il Consiglio aggiunge altre due motivazioni: Mazepin avrebbe continuato a trarre beneficio dalla posizione paterna anche dopo aver concluso il suo ingaggio in Formula 1, sia ricevendo finanziamenti per la sua fondazione, sia tramite una società costituita dal padre proprio con lo scopo di sostenere giovani piloti (tra cui egli stesso). In entrambi i casi si tratta dunque di stabilire se i ricorrenti siano da considerarsi “associati” ai sanzionati per così dire “principali”, in questo caso familiari stretti “che ne traggono vantaggio” (secondo i criteri di designazione della decisione 145/2014, come da ultimo modificati).
3. La sentenze aiutano intanto a chiarire i contorni del controllo giurisdizionale su questi atti che, pure se incidenti su sfere giuridiche individuali, rientrano in un ambito di azione prettamente politico (di politica estera). La Corte non entra nel merito dell’obiettivo che il Consiglio persegue con l’istituzione di uno specifico regime sanzionatorio e ammette pure che esso abbia “un grado di discrezionalità” nel determinare, caso per caso, il soddisfacimento dei criteri di designazione. L’effettività del controllo giurisdizionale – garantito dall’art.47 della Carta dei diritti fondamentali – richiede però di accertare che l’adozione e il mantenimento delle misure restrittive siano adottate su “una base fattuale sufficientemente solida” (sentenza Mazepin).
La motivazione – rileva poi la Corte – deve essere valutata “in funzione delle circostanza del caso di specie”, cioè del contenuto dell’atto, della natura delle motivazioni invocate e dell’interesse dei destinatari a capirne le ragioni. L’adeguatezza della motivazione dipende non solo dalla sua formulazione (“de son libellé”), ma anche dal contesto, e dall’insieme delle regole giuridiche in questione: l’obbligo di motivazione è ridotto quando il provvedimento interviene in un contesto conosciuto dall’interessato, che quindi è in grado di comprendere la portata delle misure prese nei suoi confronti (sentenza Prigozhina).
4. Il caso Prigozhina è deciso nel marzo 2023. Si tratta di verificare, con una motivazione adeguata, se la ricorrente sia “associata” a una persona già sanzionata per aver compiuto azioni che minacciano Kyiv. Il collegamento sarebbe senz’altro sufficiente se, come da motivazione del provvedimento sanzionatorio, Prigozhina fosse effettivamente proprietaria di Concord Management and Consulting e di altre società del gruppo controllato dal figlio (con all’attivo importanti commesse da parte del ministero della difesa russo). Il che, però, non è vero o, meglio, non era più vero il 23 febbraio 2022, alla data della misura restrittiva Ue. Manca dunque il presupposto di fatto della designazione. Secondo le visure presentate in giudizio, infatti, la ricorrente non era più titolare della società in questione dal febbraio del 2017. Non essendo più coinvolta nelle attività economiche del figlio, la sanzione verso Prigozhina deve essere annullata, perché – la Corte ci tiene a precisarlo – il solo legame familiare non è sufficiente a giustificarla.
5. Più complesso l’iter processuale nel caso Mazepin, che (dopo una fase in via cautelare) si conclude nel merito il 20 marzo di quest’anno. Anche in questo caso la sanzione è annullata per insufficiente motivazione. E’ pur vero – scrive la Corte – che il criterio di “essere associati” a una persona sanzionata non è definito in modo chiaro, e dipende dal contesto e dalle circostanze del caso concreto. Con quel termine si deve far riferimento a persone, fisiche o giuridiche, “legate da interessi comuni” (linked by common interests), che non sono necessariamente solo di natura economica. Il legame, inoltre, deve essere attuale (proprio per questo le sanzioni sono soggette a periodiche revisioni). Seppure dunque la sanzione fosse giustificabile nel momento in cui era stata originariamente comminata (marzo 2022) – prosegue la Corte – sicuramente non lo è più quando è stata rinnovata (cioè a partire da settembre 2022). Mazepin infatti nel frattempo aveva concluso il suo ingaggio come pilota e il team Haas non godeva più della sponsorizzazione. Il Consiglio, inoltre, non dimostra adeguatamente che, anche dopo aver concluso il suo ingaggio in Formula 1, Mazepin avrebbe continuato a trarre vantaggio dalle attività del padre, in termini di “riconoscibilità pubblica, stabilità finanziaria e possibilità di ottenere ulteriori ingaggi”.
Al procedimento giudiziario si intreccia un’articolata corrispondenza tra il ricorrente e il Consiglio. Con lettera del 21 aprile, il ricorrente chiede l’accesso ai documenti alla base della sanzione, che il Consiglio gli comunica il 28 aprile. Con lettera del 31 maggio, il ricorrente chiede al Consiglio di riconsiderare la sanzione, ma il 20 giugno il Consiglio lo informa invece della sua intenzione di rinnovare il regime restrittivo, decisione poi confermata a settembre. Il 1° novembre Mazepin chiede nuovamente al Consiglio di riconsiderare la sua decisione. Il 6 febbraio il Consiglio lo informa della sua intenzione di rinnovare la restrizione. Il 15 febbraio Mazepin risponde (“per email”, come viene precisato) e si va avanti così, tra lettere e email, per altri mesi. Alcune lettere di risposta del Consiglio verranno addirittura portate in giudizio da Mazepin, ma la Corte riterrà il ricorso inammissibile, trattandosi di “documenti meramente informativi”.
6. E’ innegabile che, per la natura delle questioni in discussione, la Corte di Giustizia si muova in un ambito dai confini molto incerti. Progozhina appare abbastanza chiaramente come una “prestanome” temporanea del figlio, e inoltre viene chiamata in causa per un periodo abbastanza risalente, rispetto ai fatti in questione. Per quanto riguarda l’altro caso, al netto delle incertezze (anche temporali) delle motivazioni del provvedimento del Consiglio, appare invece difficile negare che Mazepin abbia “tratto beneficio” dal padre, che con le sue attività economiche contribuisce a sostenere il Cremlino e dunque, indirettamente, l’aggressione all’Ucraina. Ma le decisioni della Corte si possono ovviamente discutere, in questi casi come in tutti gli altri. E si può anche discutere sull’estensione e sull’ampiezza delle liste di sanzioni individuali, così come su qualche esclusione “eccellente”, a cominciare da quella del Patriarca Kirill, espunto all’ultimo momento, per il veto ungherese, dal sesto pacchetto di sanzioni, e che proprio di recente ha presieduto un Sinodo dagli esiti poco confortanti (con l’approvazione di un documento che qualifica “l’operazione speciale” in Ucraina come una specie di guerra santa contro l’occidente). Si potrebbe però anche ricostruire cosa succedeva, nelle città ucraine e al fronte, negli stessi giorni in cui gli avvocati di Progozhina e di Mazepin esercitavano i (sacrosanti) diritti dei loro assistiti, fino ad ottenere l’annullamento di due decisioni illegittime del Consiglio (cioè dei governi dei 27 Stati membri). E così si torna al punto di partenza. Si torna al drammatico 24 febbraio di due anni fa, all’immagine proposta all’inizio, che è di quelle che possono restare nella memoria. Da una parte i carri armati che violano il confine di uno Stato sovrano, per aggredirlo. Dall’altro, annunciato da un avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione, e incarnato negli atti successivi, pur con tutti i ben noti suoi limiti, lo Stato di diritto. Il contrasto non potrebbe essere più doloroso.
Commenti