Costituzione e povertà
di Chiara Tripodina
Università del Piemonte Orientale
1. Il 17 ottobre ricorre la Giornata internazionale per lo sradicamento della povertà istituita il 31 marzo 1993 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite; ed è del 17 ottobre 2024 il Report sulla povertà dell’Istat per l’anno 2023 [su www.istat.it].
Dal report emerge che in Italia vivono in condizione di povertà assoluta (non sono cioè in grado di permettersi beni e servizi essenziali, necessari a un livello di vita dignitoso) più di 2,2 milioni di famiglie, pari all’8,4% del totale, e quasi 5,7 milioni di persone, il 9,7% del totale. La povertà relativa (la difficoltà economica nella fruizione di beni e servizi in rapporto al livello economico medio di vita) riguarda invece oltre 2,8 milioni di famiglie, pari al 10,6% del totale, e quasi 8,5 milioni persone, il 14,5% del totale.
Questi dati, già di per sé allarmanti, lo diventano ancora di più se si considera che a incrementare non è solo il numero delle persone che scivolano in povertà, ma anche la disuguaglianza tra ricchi e poveri: nel 2022, il 20% della popolazione più ricca possiede il 66% della ricchezza nazionale, mentre il 20% più povero ne detiene solo il 4%; il patrimonio netto dell’1% più ricco della popolazione è 84 volte superiore a quello detenuto dal 20% più povero [Rapporto Oxfam Italia 2024, su www.oxfamitalia.org]. La “forbice sociale” continua ad allargarsi, creando sempre maggiori divari non solo tra classi, ma anche tra territori, generi e generazioni.
Questa polarizzazione sociale è pericolosa non solo per la lacerazione sociale che produce, ma anche per la stessa tenuta del sistema democratico. È dato di eterna esperienza che «dove c’è chi possiede troppo e chi niente si crea una democrazia sfrenata o un’oligarchia autentica o, come risultato di entrambi gli eccessi, una tirannide» [Aristotele, Politica, Libro IV, 11, 1296 a, 42-45]. Se crescono i poveri, crescono anche gli umiliati e gli offesi, gli insoddisfatti e gli arrabbiati. E in questo brodo di coltura può accadere – è storicamente accaduto, sta accadendo – che «l’esercito dei perdenti si affidi a un vincente, quello che trovano, purché capace di dar voce alla loro rabbia» [M. Revelli, Populismo 2.0, Torino, Einaudi, 2017, p. 154; Id., Poveri noi, Torino, Einaudi, 2010; U. Eco, Il fascismo eterno (1995), Milano, La Nave di Teseo, 2018].
Per tutto questo, le percentuali intollerabilmente alte che ci restituisce il report dell’Istat non sono numeri muti, ma numeri che gridano e pretendono attenzione. Che Stato è uno Stato che tollera che oltre il venti per cento della sua popolazione sia povera o a rischio di povertà? Dobbiamo rassegnarci a relegare l’uguaglianza sostanziale tra le “promesse non mantenute della democrazia”? [N. Bobbio, Il futuro della democrazia, Torino, Einaudi, 1995].
Una riflessione alla luce della Costituzione si impone.
2. Né la parola “povertà”, né la parola “povero” o “poveri” sono presenti nel testo della Costituzione italiana. È presente la parola “indigenti” nell’art. 32 Cost., legata alla garanzia di cure gratuite; mentre nell’art. 38 si parla di persone “sprovviste dei mezzi necessari per vivere”, alle quali è garantito il diritto al mantenimento e all’assistenza. Ma sicuramente non si esaurisce in questi articoli l’attenzione della nostra Costituzione per la povertà.
Cruciale è l’art. 3.2: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale». I costituenti vollero questa disposizione sulla scorta della consapevolezza che qualunque dichiarazione di libertà e di uguaglianza, di democrazia e di partecipazione sarebbe stata un’amara ironia per le persone schiacciate quotidianamente – di fatto – dal macigno della povertà, se non si fosse operato concretamente per rimuovere dalle loro spalle quel peso.
Così nell’art. 3.2 ogni parola ha la sua necessità.
“Rimuovere gli ostacoli” è un’immagine materiale, concreta, quasi grezza, come «una squadra di operai intenti a levare dei massi, a togliere dalla strada qualche cosa per fare passare l’uomo» [così Corbino, Assemblea costituente, Seduta del 24 marzo 1947].
Dal livello terra degli ostacoli, dei massi, della polvere, ci si eleva poi verticalmente verso il cielo dei fini per i quali questo sforzo quasi fisico vale la pena affrontare: “il pieno sviluppo della persona umana” e “l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”: l’uguaglianza sostanziale non ha come fine la mera sopravvivenza, la nuda vita, ma un’esistenza piena, libera e dignitosa, e con essa una cittadinanza costituzionale altrettanto piena, con il suo portato di diritti e di doveri.
“Di fatto”: queste due parole entrano ed escono dal testo del progetto di articolo fino all’ultima versione. Sono le costituenti e i costituenti comunisti e socialisti, ma appoggiati anche dai democristiani, a volerle fortemente, nella consapevolezza che «i limiti che sono posti oggi alla libertà e all’eguaglianza dei cittadini […] sono appunto limiti di fatto che la Repubblica si impegna a superare» [Laconi, Assemblea costituente, Seduta del 24 marzo 1947].
Ma l’elemento realmente innovativo del progetto costituzionale sta nel porre espressamente il compito dell’eguaglianza sostanziale in capo alla Repubblica. “Compito”: una parola semplice, quasi domestica; ma anche forte, di quelle che non danno scampo. E poi “Repubblica”: che non è solo Stato; ma non è neppure solo l’elenco più ampio contenuto nell’art. 114 Cost.: Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. È molto di più: «la Repubblica siamo tutti noi. Insieme»: gli enti e le istituzioni della Repubblica, ma anche ogni singolo cittadino e persona che in essa risiede, passando per le formazioni sociali e i corpi intermedi. E la rimozione degli ostacoli «è un impegno da condividere, che richiede unità di intenti, coesione, forza morale» [Sergio Mattarella, Messaggio di fine anno del Presidente della Repubblica, 31 dicembre 2022].
3. È esattamente questo quel “dovere inderogabile di solidarietà” di cui l’art. 2 Cost. esige l’adempimento: il principale strumento di contrasto alla povertà che la nostra Costituzione immagina e mette in campo. Ed è significativo che sia ancora “la Repubblica” il soggetto chiamato a esigere l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà economica, politica e sociale. La parola “richiede” farebbe pensare a un alter a cui chiedere. In realtà la Repubblica richiede a se stessa l’adempimento dei doveri di solidarietà. L’alter, piuttosto, è colui al quale si indirizza la solidarietà. “Solidarietà” è infatti, nella sua essenza, essere «inclinato verso l’altro» [ Greco, Curare il mondo con Simone Weil, Bari-Roma, Laterza, 2023, p. 116]; verso l’«altro in concreto» [B. Pezzini, Dimensioni e qualificazioni nel sistema costituzionale di solidarietà (a proposito di eguaglianza ed effettività dei diritti e tematizzazione della differenza), in B. Pezzini e C. Sacchetto (a cura di), Il dovere di solidarietà, Milano, Giuffrè, 2005, p. 111]. È, con le bellissime parole di Aldo Schiavone, «riscoprire ogni giorno con rinnovata forza che ciascuno di noi – ekastós emón – sarebbe nulla, letteralmente non avrebbe esistenza, se non potesse affondare il proprio sguardo negli occhi dell’altro, di ogni altro della terra, e riconoscerlo come parte di un tutto, al quale anch’egli appartiene» [A. Schiavone, Eguaglianza. Una nuova visione sul filo della storia, Torino, Einaudi, 2019, p. 304].
La solidarietà è dunque un ponte lanciato verso l’altro, che si vede come meritevole di attenzione e si riconosce come degno di diritti; un ponte volto «a congiungere, a esigere quasi il riconoscimento reciproco, e così a permettere la costruzione di legami sociali» [S. Rodotà, Solidarietà. Un’utopia necessaria, Roma-Bari, Laterza, 2014cit., p. 4]. È la materialità tangibile di tali legami, attraverso la quale si raggiunge la più compiuta integrazione e intima connessione tra persone, e tra persona e comunità politica. Ma è un ponte i cui pilastri «sono unit[i] dai principi, non dal sentimento» [B. Magni, Presentazione. Tra ponti e confini: l’idea di solidarietà, in M.C. Blais, La solidarietà. Storia di un’idea, Milano, Giuffrè, 2012, pp. XXXVII]. La solidarietà non è infatti «un travestimento di carità, beneficenza, compassione» [S. Rodotà, Solidarietà, cit., p. 25]. È un principio costituzionale: «il massimo atto d’orgoglio del diritto positivo» [G. Zagrebelsky, Il diritto mite, cit., p. 155].
4. I costituenti hanno così inteso scrivere nella e attraverso la Costituzione un progetto di “democrazia emancipante” [ Di Giovine, M. Dogliani, Dalla democrazia emancipante alla democrazia senza qualità?, in Questione giustizia, n. 2/1993, p. 321 ss.], con l’obiettivo di liberare tutte le persone dalla povertà, in tutte le sue declinazioni: non solo economico-reddituale, ma anche sociale e politica [Q. Camerlengo, Il senso della costituzione per la povertà, in Osservatorio AIC, 1-2/2019, pp. 7 ss.].
Perché la povertà non è solo un problema di esiguità di risorse economiche. Ben di più di “capacitazione” (capability), per usare l’espressione di Amartya Sen [A.K. Sen, Poverty: an ordinal approach to measurement, in Econometrica, vol. 44, n. 2/1976, pp. 219 ss.]: possibilità di trasformare le proprie capacità in risultati di vita e, prima ancora, possibilità di costruire le proprie capacità. La povertà ha dunque a che fare con l’avere, ma anche con l’essere; con il ben–essere o con la sua assenza. Variabili come il livello di educazione scolastica e di conoscenze; la quantità e qualità del lavoro; lo stato di salute e la speranza di vita; la profondità, l’estensione e la varietà delle relazioni sociali; la possibilità di partecipare alla vita economica, politica e sociale del proprio Paese e concorrere al suo progresso: sono tutti elementi costitutivi della qualità e della dignità della vita umana non raggrumabili in una lettura meramente economico-reddituale della povertà.
Ed è per questo che la Costituzione, dopo le dichiarazioni di principio e programmatica degli artt. 2 e 3.2, dà loro svolgimento con la previsione di una lunga serie di diritti: al lavoro; all’istruzione; alla salute; all’assistenza sociale…, rendendo subito evidente il nesso indissolubile tra doveri (di solidarietà) e diritti (sociali).
5. Alla luce di tutto ciò, non v’è dubbio che, nonostante l’assenza della parola, la povertà sia al centro dell’attenzione della nostra Costituzione, essendo il primo ostacolo all’uguaglianza sostanziale. E neppure v’è dubbio che lo strumento immaginato per contrastarla sia la solidarietà costruita come dovere costituzionale che grava sulle istituzioni e su ciascuno. «Contribuire a che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana» [Corte cost., sent. n. 217/1988] è l’impegnativo compito che la Costituzione ci affida.
Ma i numeri sulla povertà oggi in Italia ci dicono che ancora molto c’è da fare.
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