(Auto) dichiarazioni, fatti, stati e intenzioni in tempi di Covid-19. Il diavolo è proprio nei dettagli?
di Stefano Civitarese
Dovrei spiegare il titolo di questo post indubbiamente criptico. Ma il senso diverrà chiaro se arriverete in fondo.
Di autorichiarazione, fatti e intenzioni, nel contesto delle regole anti-Covid-19, discorre una recente sentenza del GIP di Milano (16.11.2020), che ha assolto un caldaista, chiamiamolo sig. Bogardi, imputato per falso ai sensi dell’art. 483 del codice penale. Il sig. Bogardi era stato fermato dai Carabinieri a bordo di un autocarro in data 31.3.2020, quindi nella vigenza del lockdown imposto dal decreto legge 19/2020, alle ore 13.10.
I Carabinieri chiedono a Bogardi di predisporre l’autodichiarazione per spiegare le ragioni del suo allontanamento da casa. Lui scrive che si occupa di assistenza caldaie e che sta andando da un collega, chiamiamolo sig. Ferbi, per ritirare dei pezzi di ricambio, e poi da un cliente.
Sennonché queste dichiarazioni si rivelano non del tutto vere. I Carabinieri, infatti, scoprono che da Ferbi Bogardi ci era andato alle 11.30 e si era intrattenuto con lui per un’oretta almeno. Inoltre, quando lo fermano, Bogardi sta pure guidando in direzione opposta alla casa di Ferbi.
Insomma, afferma il GIP, Bogardi ha dichiarato un’intenzione – andare a visitare Ferbi – che non trova “riscontro nei successivi accertamenti della Polizia giudiziaria”.
Bogardi non è stato esattamente sincero. Caso facile e condanna sino a due anni? Questa è la pena prevista per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, consistente nell’attestare falsamente al pubblico ufficiale fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.
Potrà sembrarvi sorprendente ma, invece, il giudice afferma senza mezzi termini che va “escluso che tale falsità integri gli estremi del delitto di cui all’imputazione.” La ragione? L’art. 483 c.p. incrimina il privato che attesti al pubblico ufficiale “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”.
Non ci siete ancora? Il nostro furbetto Bogardi, che certo avrebbe dovuto restarsene a casa quel mercoledì delle Ceneri all’ora di pranzo, aveva manifestato un’intenzione o un proposito: andare da Ferbi; mica aveva attestato dei fatti, con tutta l’insostenibile pesantezza che questi si portano dietro. Ce lo ricorda il dickensiano Mr Gradgrind: “Facts alone are wanted in life. Plant nothing else, and root out everything else. You can only form the minds of reasoning animals upon Fact…” (Hard Times).
Come sostiene pervicacemente Thomas Gradgrind, fancy and facts sono incommensurabili e così, riprendendo la prosa – per certi versi non meno dickensiana – del nostro Giudice, “mentre l’affermazione nel modulo di autocertificazione da parte del privato di una situazione passata (si pensi alla dichiarazione di essersi recato in ospedale ovvero al supermercato) potrà integrare gli estremi del delitto de qua, la semplice attestazione della propria intenzione di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una certa attività non può essere ricompresa nell’ambito applicativo della norma incriminatrice, non rientrando nel novero dei “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”.
Questa vicenda mi richiama alla mente una vivace discussione, avvenuta pochi giorni dopo l’avventura del sig. Bogardi, poi immortalata in questo scritto [Il diavolo è nei dettagli], innescata dalla mia domanda su dove e come era stato previsto che dovessi autocertificare di “andare a fare la spesa”. A qualcuno stanno già fischiando le orecchie.
Di quello scritto (prima che corriate a leggerlo) riporto un passaggio che mi ricorda vagamente la storia del sig. Bogardi qui. Giuro però che il seguente era solo un esperimento mentale.
Non riesco a comprendere come io possa ‘certificare’, cioè attestare che sia vera, un’azione che devo ancora compiere. Vale a dire trattare come un fatto ‘notorio’ … quella che al momento è una mia intenzione. E questo nonostante io sia notoriamente una persona del tutto sincera e di incrollabile determinazione: se auto-dichiaro che sto andando a fare la spesa – anche se mi trovo al momento in un bosco di lecci a circa 5 chilometri dal più vicino centro abitato e per caso ho il mio binocolo e sto osservando un luì boreale (Phylloscopus borealis) incredibilmente capitato qui – dovete credermi. Eppure, per quanto mi sforzi, non riesco a trattare, dal punto di vista dell’atto linguistico che pongo in essere, la dichiarazione “sto andando dal fruttivendolo” rivolta all’autorità di pubblica sicurezza diversamente da una promessa o impegno”.
Il diavolo è nei dettagli appunto.