Città metropolitane e Province nel d.d.l. per la revisione dell’ordinamento degli enti locali: qual è la direzione?

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di Giuseppe Mobilio

Università degli Studi di Firenze

Introduzione

L’8 agosto 2023 il Consiglio dei Ministri ha avviato l’esame dello schema di disegno di legge per la “revisione delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”. Si tratta dell’ultimo (l’ennesimo?) tentativo di aggiornare una disciplina che ancora oggi è ospitata dal testo unico sugli enti locali (d.lgs. n. 267/2000), un atto – come noto – che precede l’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Costituzione, pur essendo stato modificato o, più spesso, superato dalle riforme che si sono succedute nel frattempo.

Uno degli ambiti per i quali si avverte di più il bisogno di un profondo ripensamento è il governo dell’area vasta. Questi territori si pongono dimensionalmente al di sopra del Comune e al di sotto della Regione, ma solo problematicamente coincidono con le vecchie Province e le nuove Città metropolitane. È qui, infatti, che si collocano interessi sovracomunali o intercomunali che ancora oggi faticano a trovare una soddisfazione adeguata. Pur essendo diversi gli strumenti immaginabili per venire incontro alle esigenze dell’area vasta (come, ad esempio, forme associative tra enti locali e fusioni tra Comuni, di cui pure lo schema si occupa), sono Province e Città metropolitane che, istituzionalmente, devono offrire soluzioni strutturali al governo di questi ambiti.

Può essere interessante, quindi, interrogarsi su quali siano le scelte politiche di fondo compiute dal Governo in carica per rivedere la disciplina di questi due enti territoriali; quali problematiche emergano dal processo di attuazione; come si collochi questo tentativo di riforma all’interno di un percorso tortuoso che ancora oggi fatica a trovare un assestamento definitivo.

I contenuti dello schema di d.d.l.

Lo schema di d.d.l. in discussione, come anticipato, ha solo avviato il suo esame all’interno del Governo. Non è stato pubblicato alcun testo ufficiale, per cui si dispone solo di versioni circolate in via ufficiosa. Si tratta quindi di uno schema suscettibile di modificazioni, sia in Consiglio dei Ministri, sia, ovviamente, nelle aule parlamentari. Già da esso tuttavia è possibile ricavare alcuni spunti per comprendere la strategia del Governo sulla riforma in questione.

Lo strumento scelto è la delega legislativa per la revisione di molteplici ambiti. Il Governo, in particolare, è chiamato ad adottare uno o più decreti legislativi «allo scopo di aggiornare, riordinare e coordinare la disciplina statale in materia, introducendo le necessarie disposizioni innovative» (art. 1, c. 1). Lo schema contiene un elenco di previsioni che – per quello che qui interessa maggiormente – riguardano principalmente gli organi di governo e le funzioni di Città metropolitane e Province (ma anche dei Comuni).

Gli organi di governo vengono menzionati soprattutto tra i “principi e criteri direttivi generali” all’art. 2, che dovrebbero valere per tutte le deleghe contenute nello schema. Qui compaiono riferimenti a (con enfasi aggiunte):

  • «aggiornamento e razionalizzazione, in coerenza con l’evoluzione della normativa sull’esercizio delle funzioni amministrative, del riparto di competenze tra gli organi di governo» degli enti locali (art. 2, c. 1, lett. i);
  • «centralità della figura dell’organo monocratico» degli enti locali (art. 2, c. 1, lett. l);
  • «previsione di meccanismi istituzionali e relazioni tra gli organi di governo» degli enti locali, in modo da assicurare «l’equilibrio di funzioni e responsabilità tra gli organi» (art. 2, c. 1, lett. m).

Per le funzioni è invece prevista una delega apposita all’art. 3, dedicato a “Revisione della disciplina in materia di funzioni di comuni, province e città metropolitane”. Qui, tra i principi e criteri direttivi per questa delega specifica, si fa riferimento a (con enfasi aggiunte):

  • «configurazione delle funzioni fondamentali» degli enti locali in termini di funzioni «ordinamentali necessarie al funzionamento di tali enti» (art. 3, c. 1, lett. a);
  • individuazione di tali funzioni fondamentali «con un grado di determinatezza tale da potersi tradurre in concrete ripartizioni di compiti tra i vari livelli di enti locali, secondo il principio di non sovrapposizione» (art. 3, c. 1, lett. c);
  • «ricognizione, nell’ambito della normativa statale […] delle funzioni fondamentali conferite» agli enti locali (art. 3, c. 1, lett. b).

Stranamente l’alinea del comma 1 di questo articolo inquadra la delega come finalizzata «al riordino e alla revisione della disciplina in materia di funzioni di comuni, province e città metropolitane», ma anche in materia di «loro organi e sistema elettorale», senza però specificare alcunché tra i principi e criteri direttivi su questi ultimi oggetti.

Stando così il dato letterale, ci si può interrogare sull’adeguatezza delle indicazioni contenute nella delega a guidare il Governo nell’adozione dei decreti legislativi; se questa disciplina sia all’altezza delle esigenze di riforma; quale sia la visione di fondo così espressa.

Un oggetto di delega molto ampio, principi e criteri direttivi troppo vaghi

Colpisce innanzitutto un concorso di fattori, quali: l’ampiezza dell’oggetto di delega (riferita a organi di governo e funzioni); la finalità, volta ad introdurre modifiche innovative alla disciplina preesistente (si parla non solo di “ricognizione” della normativa rilevante, ma soprattutto di “razionalizzazione”, “previsione di meccanismi”, “configurazione” delle funzioni, ecc.) ed espressione di scelte sostanziali (“centralità” dell’organo monocratico); la genericità di principi e criteri direttivi.

Si tratta di una concomitanza piuttosto problematica. La giurisprudenza costituzionale è chiara nello stabilire che il Governo è legittimato ad introdurre soluzioni innovative rispetto alla legislazione previgente solamente nella misura in cui l’oggetto della delega sia sufficientemente definito e supportato da principi e criteri direttivi idonei a guidare e circoscrivere la discrezionalità del Governo; ove ciò non avvenisse, il margine decisionale del Governo si restringerebbe e sarebbe confinato alla mera ricognizione della normativa preesistente (es. sentt. nn. 280/2004, 70/2007, 84/2017).

È molto discutibile, dunque, che il Governo possa avvalersi di una delega così formulata per operare una riforma significativa e complessiva delle autorità di governo preposte all’area vasta.

Un disegno di riforma all’altezza delle esigenze?

Queste perplessità si scontrano con un dato di fatto, che è l’urgenza con cui da più parti si richiede di riformare Città metropolitane e Province. La disciplina di entrambe è contenuta all’interno della legge n. 56/2014, giunta oramai ad un decennio dall’entrata in vigore e pronta quindi per un giudizio sul suo rendimento.

Sulle Città metropolitane si è di recente pronunciata la Corte costituzionale, che con la sentenza n. 240/2021 ha sollecitato il legislatore a riformare un ente non più «in sintonia» con le coordinate ricavabili dal testo costituzionale. Ciò soprattutto quanto alla legittimazione degli organi di governo (specie il sindaco metropolitano, coincidente con il sindaco del Comune capoluogo) e all’assenza di strumenti per consentire ai cittadini metropolitani di esercitare un controllo democratico su di essi. Anche la coincidenza dei confini metropolitani con i confini delle Province sostituite rappresenta un limite, poiché non favorisce l’individuazione di quei territori che da un punto di vista socio-economico possono considerarsi autenticamente “metropolitani”. Le stesse funzioni metropolitane e il relativo finanziamento non si sono dimostrati all’altezza delle esigenze specifiche di questi ambiti.

Sulla necessità di rivedere l’impianto riguardante le Province, accanto alla Corte costituzionale nella medesima sent. n. 240/2021 si è di recente espresso anche il Presidente della Repubblica. È stato sottolineato come attualmente ci si trovi nel mezzo di una «transizione interrotta», poiché la Provincia è stata riformata nel 2014 in previsione di una riforma costituzionale che poi non si è compiuta. Di conseguenza, l’ente provinciale è stato lasciato con un assetto di organi politici, funzioni e strutture che origina un quadro di competenze incerte, servizi inadeguati, lacune nelle funzioni di indirizzo e di coordinamento, in contrasto – sempre riprendendo le parole del Capo dello Stato – con il bisogno di «ruolo propulsivo», «conseguenti risorse» e «autorevolezza democratica».

Quale visione di fondo?

Ma soprattutto, ciò che non emerge dallo schema in questione è una vera e propria visione di fondo sul tipo di governo che si vuole per l’area vasta. In parte ciò è dovuto alla circostanza che si tratti di deleghe legislative, da riempire tramite l’attività normativa del Governo. In parte, però, la delega è talmente ampia da limitarsi a indicazioni piuttosto scarne che non esprimono una impostazione definita.

La legge n. 56/2014, pur con molti limiti e contraddizioni, esprimeva alcune coordinate esplicite: la volontà di “semplificare” la geografia dei livelli territoriali, mantenendo solo Comuni e Regioni con organi di governo ad elezione diretta; la centralità del Comune capoluogo nelle Città metropolitane; la riduzione dei “costi della politica”; la scelta della “soluzione più facile”, come la volontà di far coincidere i confini metropolitani con quelli delle Province sostituite.

Altri schemi di d.d.l. di delega discussi nel recente passato, come accaduto con il Governo Draghi, esprimevano scelte – al di là del merito – più precise in tal senso. In questo schema, fatto circolare informalmente il 14 ottobre 2021, ci si muoveva nella direzione di una assimilazione tra Province e Città metropolitane, come testimoniato, ad esempio, dalla decisione di istituire per entrambi gli enti una Giunta, o di estendere alle Province funzioni previste per le Città metropolitane, a partire dalla pianificazione strategica.

Lo schema in esame, invece, rimette al Governo un ampissimo margine sulle scelte da compiere. Al di là dei dubbi di legittimità costituzionale sul piano delle fonti, non si dispone quindi di dati sufficienti per esprimere un giudizio sulla direzione che s’intende intraprendere.

Considerazioni conclusive

In definitiva, per avere un quadro più chiaro occorrerà attendere che lo schema termini il proprio iter di approvazione e che i decreti legislativi vengano formulati. Ma già nella fase di approvazione della legge delega c’è bisogno di esplicitare alcune scelte di fondo, che fin qui non risultano evidenti.

Nel frattempo, bisognerà stabilire cosa ne sarà dei molteplici disegni di legge che da tempo sono in discussione al Senato. Tali iniziative sono volte essenzialmente a ripristinare l’elezione diretta degli organi di governo di Province e Città metropolitane, e dunque si appuntano solamente su un aspetto, pur rilevante, del complesso sistema di governo locale. Questi disegni di legge, discussi congiuntamente, sono tuttavia fermi in I° commissione fin dal 20 settembre 2023, per cui è ben probabile che vengano superati dal d.d.l. del Governo.

Allo stesso tempo lo schema di d.d.l. tace su un profilo fondamentale che negli ultimi anni ha condizionato fortemente il rendimento degli enti di area vasta, ovvero le risorse a disposizione. Dal punto di vista del personale, questi enti hanno subito una profonda riorganizzazione a seguito del trasferimento di molte funzioni provinciali a Regioni o agli altri enti locali, senza che si sia ancora raggiunto un assestamento compiuto. Dal punto di vista del finanziamento, invece, il governo dell’area vasta dipende ancora sostanzialmente dai trasferimenti erariali, per cui è difficile immaginare che si possano elaborare politiche strategiche che siano davvero autonome. Al momento, inoltre, ci sono varie riforme della finanza pubblica volte a superare il criterio della spesa storica che attendono di essere implementante, come il c.d. federalismo fiscale inaugurato con la legge n. 42/2009, o il nuovo sistema perequativo stabilito dalla legge n. 178/2020 (bilancio 2021) basato su fabbisogni standard e capacità fiscale per abitante. Non è possibile strutturare un nuovo modello di governo politico o un nuovo assetto di funzioni senza aver chiarezza sulle risorse a disposizione.

Le discussioni su questo schema, dunque, possono rappresentare un’occasione preziosa per metter mano su molti aspetti di una questione strategica, come quella dell’area vasta, che da troppo tempo esigono una soluzione complessiva.

Autore

G. Mobilio

Università degli Studi di Firenze

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