Continuità e discontinuità nel diritto pubblico: la prospettiva europea
di Giacinto della Cananea
1. L’analisi di Leonardo Ferrara del nesso tra la Costituzione italiana e l’integrazione europea si situa su due piani distinti: la difesa della Costituzione e il favore per una federazione europea. Giova dire subito che è proprio perché i nostri punti di vista, a questo riguardo, sono assai vicini che è utile concentrarsi – a fini di chiarezza – sui tratti distintivi. Questi ultimi riguardano sia i due aspetti in sé, sia il nesso instaurato tra di essi. Mentre il primo aspetto è considerato a più riprese e con un’adeguata chiarezza rispetto ai più recenti progetti di riforma (in breve, il c.d. premierato e l’attuazione dell’autonomia differenziata), la trattazione della prospettiva europea e soprattutto la sua distinzione rispetto a quella globale è contratta, non approfondisce alcune distinzioni indispensabili. Soprattutto, il nesso tra la difesa della Costituzione e la prospettiva della federazione europea richiede un’analisi più articolata.
2. La difesa della Costituzione viene analizzata da Ferrara in più modi: come salvaguardia dei singoli principi, con l’opportuno riferimento all’osservazione di Giuseppe Ugo Rescigno secondo cui al di sotto di una soglia minima, non vi è attuazione di un principio, bensì la sua violazione; come salvaguardia dei valori liberaldemocratici, considerati nel loro complesso; come critica dell’esistente, in rapporto a determinate prassi governative. Riguardo a queste ultime, Ferrara chiarisce come esse indeboliscano non soltanto il Parlamento, ma la rappresentanza democratica e – si potrebbe aggiungere – l’intero sistema di pesi e contrappesi. Aggiunge che si può, si deve, individuare una continuità nella tutela e nella promozione dei valori costituzionali, con sviluppi condivisibili in punto di eguaglianza. Alla scrupolosa disamina di queste criticità si contrappone la sommarietà con cui Ferrara lega la difesa della Costituzione e l’impostazione di Zagrebelsky. Questo legame non è inscindibile, per più d’una ragione. Innanzitutto, nella stessa tradizione giuridica occidentale, vi è più di un filone di teoria. Quelli più antichi vanno tenuti distinti – secondo l’insegnamento di Charles McIllwain – da quelli moderni. Tra questi ultimi, vi è chi sostiene l’esigenza di dare attuazione ai valori che una carta costituzionale proclama, anche alla luce di quello che Montesquieu chiamava esprit général (cioè il modo di essere, di pensare e di agire della collettività nazionale) e chi – come Antonin Scalia – afferma che “The Constitution that I interpret and apply is not living but dead, or as I prefer to call it, enduring. It means today not what current society, much less the court, thinks it ought to mean, but what it meant when it was adopted”. Vi è, altresì, chi è avverso all’esercizio della potestà di revisione costituzionale e chi – come Sabino Cassese – guarda con favore le numerose iniziative prese per adeguare la Grundegesetz tedesca alle mutevoli necessità, nella logica d’una “manutenzione” ordinaria di singole disposizioni, assai distante rispetto alla logica posta alla base della sostituzione dell’intero titolo V della seconda parte della Costituzione (2001). Inoltre, ed è l’aspetto che verrà approfondito più avanti (nel § 4), alcuni filoni di teoria sono più orientati alla tutela dei diritti e delle libertà, donde l’apertura nei confronti delle istituzioni sovranazionali e internazionali, mentre altri concepiscono il costituzionalismo esclusivamente nell’ottica nazionale.
3. Anche sull’integrazione europea, si impone qualche notazione preliminare. Ferrara osserva in modo chiaro e – a mio avviso – esatto che il progresso verso una federazione europea comporterebbe una discontinuità. Ne individua una duplice ragion d’essere: meglio salvaguardare la rule of law e conservare un ruolo al Vecchio continente nella mutata arena politica globale. Sono ragioni del tutto condivisibili, alle quali può semmai aggiungersi che non hanno perso importanza gli obiettivi sanciti dalla Dichiarazione Schuman, cioè assicurare la pace e garantire la prosperità in un’Europa da pochi anni uscita dalla più vasta distruzione materiale e morale della sua storia. Pur riconoscendo la specificità dell’integrazione più stretta in Europa, Ferrara aderisce all’indirizzo che la colloca nel più ampio quadro della globalizzazione. Non esita ad affermare che “per quanto necessaria, la Federazione europea rappresenta solo un primo passo per poter ‘aprire grandi orizzonti’, alla ricerca di una governance mondiale”. E’ uno schema interpretativo prevalente almeno in una parte del mondo accademico. Pure, è un’interpretazione che suscita non pochi dubbi sul piano empirico e storico. Elenchiamo, tra tali elementi di dubbio se non di critica, i principali: a) Monnet, Schuman, De Gasperi, Adenauer e gli altri della costruzione europea condividevano l’ideale d’una federazione europea, ma erano ben consapevoli delle differenze tra le democrazie liberali e i governi autoritari, donde il rigetto delle prime domande di adesione presentate dalla Spagna franchista e dalla Grecia dei colonnelli; b) coerentemente con questa impostazione, dopo le colpevoli negligenze dei primi anni Duemila, i governanti europei si sono accordati per dare all’Europa unita strumenti idonei a contrastare le prassi e le regole in contrasto con i valori sui quali essa si fonda; c) quei valori sono condivisi da molti altri Stati, in altre regioni del globo, ma non da tutti, segnatamente non da quanti li svuotano di ogni significato, per esempio giungendo al punto di ritenere che un regime politico impegnato come pochi altri nella sistematica oppressione dei diritti possa presiedere importanti consessi all’interno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite; d) il voto, proprio all’interno dell’ONU, sulla sospensione della Federazione russa dalla commissione dei diritti umani va attentamente considerato, vista l’astensione di alcuni popolosi paesi, sempre più industrializzati; e) tanto nei discorsi ufficiali, quanto nella letteratura accademica, il “costituzionalismo globale” (lo si veda, per esempio, nel saggio di David Law e Mira Versteeg) muove da premesse e sviluppa argomentazioni ben diverse rispetto a quelle che contraddistinguono l’Europa unita. L’aver sorvolato sulle diversità di ordine assiologico rappresenta una evidente debolezza dell’argomentazione che tende a ricondurre l’integrazione più stretta in Europa – con tutte le sue manchevolezze e i suoi insuccessi – alla costruzione di assetti istituzionali a livello globale. La differenza non è di grado, attiene alla natura stessa delle istituzioni, ai valori che esse incarnano, al coinvolgimento delle forze sociali e politiche nei loro processi decisionali.
4. Dagli elementi di dubbio appena indicati va tenuto distinto un altro, di fondo. Esso concerne – come segnalato all’inizio – il nesso tra la Costituzione italiana e l’integrazione europea. Sempre a fini di chiarezza, a me sembra senz’altro condivisibile l’idea di Ferrara che ben si possa, al tempo stesso, difendere e promuovere i valori costituzionali e compiere ulteriori passi nella direzione di “un’unione sempre più stretta tra i popoli europei”, per riprendere la formulazione del Trattato di Roma, negoziato dopo la felice mediazione di Gaetano Martino a Messina. Ma non è questa la visione dell’Europa prospettata da un importante filone del costituzionalismo contemporaneo. Una disamina approfondita, per non dire una ricostruzione organica, di questo filone è quanto mai opportuna. Essa non viene nemmeno tentata in questa sede. E tuttavia i blocchi analitici e i fatti essenziali sulla base dei quali essa può essere se non altro intestata emergono già con piena evidenza dalle considerazioni proposte negli ultimi anni da Armin von Bogdandy e Marta Cartabia. Per un verso, la visione della democrazia ancorata allo Stato, quale si è manifestata segnatamente nelle pronunce del Tribunale costituzionale federale tedesco riguardanti la legge di bilancio, trascura quanto vi è di nuovo e di originale nella costruzione europea: il nesso tra la democrazia e la Rule of law; l’elezione diretta di un Parlamento rappresentativo non di un popolo omogeneo ma di vari gruppi sociali eterogenei; l’istituzione di una cittadinanza europea – da sviluppare – non ancorata al retaggio del sangue; la previsione di procedimenti e strumenti volti a contrastare le violazioni sistemiche dei valori su cui l’Unione si fonda. Per un altro verso, proprio movendo dall’impostazione di Ferrara, sono manifeste le diversità rispetto a chi prospetta una visione dell’UE – in chiave critica – come volta principalmente a garantire determinati equilibri economico-finanziari o rivendica la singolarità, l’unicità, dell’identità costituzionale, finendo con il negare il rilievo giuridico e la significatività delle tradizioni costituzionali comuni, evidenziate – tra gli altri – da Alessandro Pizzorusso. Non a caso, Ferrara si pronunzia a favore d’una federazione europea, mentre altri reputano che l’aderirvi rappresenterebbe – per riprendere le parole di Santi Romano – “l’instaurazione di fatto di un nuovo ordinamento costituzionale”.
5. In conclusione, sembra prima facie non infondata un’interpretazione più articolata, attenta alle differenze tra vari filoni di teoria all’interno del costituzionalismo e distante dall’idea del “costituzionalismo in un solo Paese” (per parafrasare le parole d’un noto dittatore). Un’interpretazione siffatta consente di conciliare la protezione e la promozione dei valori costituzionali con la prospettiva che l’integrazione più stretta in Europa configura, ma non assicura. Per realizzarla, è indispensabile il concorso della cultura, anche giuridica, oltre all’impegno dei policy-makers e all’adesione dei gruppi sociali. Il dibattito aperto sul nuovo blog è, quindi, importante.
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