Cosa succede al contenzioso costituzionale tra Stato e Regioni?

image_pdfimage_print

di Giorgio Repetto

1. Lunedì 18 marzo 2024, nel Salone del Belvedere del Palazzo della Consulta, si è svolto il tradizionale appuntamento di presentazione della Relazione annuale del Presidente della Corte costituzionale sull’attività giurisprudenziale dell’anno passato, cui ha fatto seguito l’incontro con la stampa.

Dei molti motivi di interesse che si ricavano dalla lettura della Relazione del Presidente, accompagnata come ogni anno da un’utile Relazione del Servizio studi contenente un’articolata rassegna degli orientamenti giurisprudenziali del 2023 e i necessari prospetti statistici, un elemento balza agli occhi del lettore ed è costituito dalla presa d’atto di una significativa riduzione del contenzioso costituzionale.

Secondo le parole del Presidente Barbera, infatti, la riduzione del numero di decisioni adottate dalla Corte nel 2023 (229, rispetto alle 270 del 2022) è da ricondursi a una pluralità di ragioni, le più serie delle quali riguardano l’“alleggerimento delle questioni in via incidentale”, per il quale si paventa il timore che la flessione non sia dovuta “ad un effettivo allentamento delle problematiche costituzionali”, ma a un’“attività interpretativa orientata direttamente ai valori costituzionali (o ritenuti tali)” la quale finisce per “risolversi in una più o meno grave disapplicazione di disposizioni legislative, persino da parte di giurisdizioni superiori”.

Tra le altre ragioni di riduzione del contenzioso, viene richiamata anche la flessione del numero dei ricorsi in via principale, ricondotta a “meccanismi di raccordo politico” che favoriscono il raggiungimento di accordi tra Stato e Regioni volti a mediare in sede politica i conflitti di competenza, così da scongiurare la formale impugnazione di fronte alla Corte costituzionale, soprattutto ad opera del Governo nei confronti delle leggi regionali.

2. Ci sarà sicuramente tempo e modo, per la dottrina, di analizzare nel dettaglio fattori e cause di inaridimento del giudizio in via incidentale. Meno difficili da comprendere paiono, invece, le ragioni che hanno portato, nel 2023 e in questa prima parte del 2024, a un’altrettanto sensibile riduzione del contenzioso tra Stato e Regioni. Può essere sufficiente, per ora, il dato per cui tra i ricorsi in via principale pendenti al 1° gennaio 2023 (promossi quindi tendenzialmente nel corso dell’anno 2022) e quelli pendenti al 31 dicembre 2023, si assiste a una riduzione di più del 50%: 79 nel primo caso, 31 nel secondo.

La ragione di tale sensibile riduzione può essere facilmente attribuita agli orientamenti tenuti sul punto dal Governo in carica, tenuto conto che la scelta di impugnare le leggi regionali (assai meno frequente è il caso delle impugnative regionali di leggi statali) rappresenta l’esito di una procedura istruttoria condotta dal Dipartimento degli affari regionali e delle autonomie, nel raccordo con gli uffici ministeriali competenti per materia, sulla quale si pronuncia, ai sensi dell’art. 2, comma 3, lettera d), della legge n. 400 del 1988, il Consiglio dei ministri. E la complessiva connotazione del giudizio in via principale risente della necessità dell’input politico, come è dimostrato nella prassi dal rilievo che assume, anche di fronte alla Corte costituzionale, il raggiungimento di accordi tra Stato e Regioni. Tutt’altro che infrequente, infatti, è il caso in cui, a seguito dell’impugnazione statale e del radicarsi del giudizio in via principale di fronte alla Corte, le rispettive amministrazioni addivengano a un accordo al fine di superare il contenzioso attraverso una modifica o un’abrogazione della legge regionale impugnata, il che può condurre (a seconda dei casi) a un’estinzione del giudizio conseguente all’adozione di una delibera formale di rinuncia al ricorso adottata dal Consiglio dei ministri e accettata dalla Regione, ovvero a una cessazione della materia del contendere, laddove – pur senza un’espressa rinuncia – la legge regionale impugnata non abbia avuto applicazione nel periodo della sua vigenza e le modifiche intervenute possano ritenersi satisfattive delle ragioni fatte valere con il ricorso statale.

3. Non è dubbio, quindi, che il giudizio in via principale risenta delle decisioni politiche che ne sorreggono l’instaurazione e lo svolgimento. E di questa caratura politica vi è riprova nel fatto che, nel corso degli anni, ripetuti sono stati i tentativi di regolare nel dettaglio, in seno al Governo, la procedura di impugnazione delle leggi regionali, al fine tanto di rispettare il termine di 60 giorni stabilito dall’art. 127 Cost. per la presentazione di ricorsi che appaiano adeguatamente motivati (obiettivo, a dire il vero, non sempre raggiunto), quanto di favorire per il tramite di accordi la composizione delle controversie mediante l’assunzione di un impegno da parte delle Regioni (o meglio: del loro Presidente) a modificare le leggi regionali o comunque, laddove possibile, a orientarne l’applicazione (ad es. mediante circolari) in modo da scongiurarne le ricadute più apertamente contrarie ai criteri di riparto della competenza legislativa (o agli altri profili di contrasto di natura sostanziale).

Dopo l’adozione di simili direttive ad opera dei Ministri Bassanini (governo Prodi I) e Lanzillotta (governo Prodi II), volte come si diceva a procedimentalizzare la procedura endogovernativa prodromica alla presentazione del ricorso e a favorire il raggiungimento di accordi con le Regioni a fini di deflazione del contenzioso, una nuova direttiva è intervenuta nell’ottobre 2023, a firma del Presidente del Consiglio, con cui si mira nuovamente a razionalizzare l’attività istruttoria del Governo (per un’analisi dettagliata, v. Fabrizio Politi).

Ancor più che nelle precedenti direttive, questa appare rivolta a promuovere “la valorizzazione del momento collaborativo e il perseguimento di soluzioni conciliative”, soprattutto per il tramite di tavoli di “concertazione preventiva” con le Regioni, nell’ambito dei quali queste ultime si impegnano “ad apportare le modifiche necessarie a ricondurre la legislazione regionale o provinciale a conformità con il quadro costituzionale con la sollecitudine resa indispensabile dall’esigenza di evitare che, nel frattempo, abbiano a prodursi effetti non conformi con il predetto quadro”. Perseguito, in questo modo, l’obiettivo di ridurre il contenzioso di fronte alla Corte costituzionale, l’assunzione di questi impegni da parte delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano dovrebbe, poi, essere monitorato dal Dipartimento affari regionali al fine di verificarne il rispetto, comunicando al Consiglio dei ministri, su base semestrale, lo stato di attuazione degli impegni assunti dalle Regioni e dalle Province autonome.

4. In linea di principio, si dirà, obiettivi e metodi condivisibili. Nessuno nega, come si è detto, la connotazione politica del giudizio in via principale e pochi, c’è da scommettere, sono disposti a negare che la deflazione del contenzioso sia un obiettivo apprezzabile o, addirittura, a rimpiangere il sovraccarico di conflittualità tra Stato e Regioni che si riversò sulla Corte negli anni successivi alla riforma del Titolo V.

Ci si può però domandare se la forte spinta verso una simile “contrattazione di legittimità” non susciti forti perplessità laddove il Governo, da un lato, ometta di verificare adeguatamente il rispetto da parte delle Regioni degli impegni assunti e, dall’altro lato, si mostri incline a esercitare con estrema riluttanza il potere di impugnativa delle leggi regionali previsto dall’art. 127 Cost.

Dal primo punto di vista, è evidente che la stipula di accordi tra Stato e Regioni, se interviene dopo la sollevazione del giudizio in via principale, trasferirà sul giudizio di fronte alla Corte costituzionale la sede per la verifica del rispetto degli impegni, vuoi per il tramite di una rinuncia deliberata dal Governo stesso (con la conseguente estinzione del giudizio), vuoi attraverso la verifica – come si diceva – sulla non applicazione medio tempore della legge impugnata e sul carattere satisfattivo delle modifiche legislative sopravvenute. Laddove, al contrario, la stipula di accordi tra Stato e Regioni interviene in sostituzione dell’impugnativa governativa, risulta fondamentale il puntuale monitoraggio sul rispetto degli accordi, tanto più che il Governo ha perso l’arma di pressione dell’impugnativa di fronte alla Corte costituzionale, per effetto dello spirare del termine di sessanta giorni per presentare ricorso.

Si vedrà se e quanto, in applicazione della direttiva dell’ottobre 2023, il Dipartimento degli affari regionali e delle autonomie è stato e sarà in grado di effettuare tale monitoraggio e di garantire il rispetto degli accordi con le Regioni. Al momento, può dubitarsi che tali esiti siano promettenti se è vero, come ha dimostrato un’inchiesta giornalistica (qui e qui) cui ha fatto seguito un’interrogazione a risposta scritta al Ministro per le autonomie, che all’incremento delle lettere di impegno con le Regioni nel corso del 2023 (262 rispetto alle 179 del 2022) corrisponde un netto decremento delle risposte delle amministrazioni regionali alle richieste di verifica del rispetto degli accordi provenienti dagli uffici governativi (il tasso di risposta è nell’ordine del 12%, il che porta a ritenere che ancora inferiore sia il tasso di effettivo rispetto degli accordi intercorsi). In ogni caso, ci si può domandare se l’estensione del sistema degli accordi sia di per sé sempre e solo da salutare con favore, considerato che, per il fatto di intervenire tra Governo statale e Presidente della Giunta regionale, esso estromette dalla procedura negoziale i legislatori regionali (che, a tutto concedere, non godono attualmente di buona salute). E, inoltre, per il fatto di intercorrere tra esecutivi, tali accordi difettano del requisito della pubblicità, così che è difficile verificarne l’effettivo rispetto.

Ma è con riguardo al secondo punto di vista sopra considerato, vale a dire in relazione alla drastica riduzione delle impugnazioni statali, che possono nutrirsi le maggiori perplessità.

Sul punto, basti considerare che a fronte di un numero equivalente di proposte di impugnativa portate all’attenzione del Consiglio dei ministri negli anni 2022 e 2023 (rispettivamente: 636 e 652), il numero di impugnative deliberate si riduce di due terzi tra il 2022 (72, pari all’11,32% del totale) e il 2023 (24, pari al 3,68%). Nell’anno in corso, da una consultazione della banca dati del Dipartimento per gli affari regionali e le autonomie, si ricavano numeri e percentuali ancora inferiori (ad oggi, 5 impugnative deliberate su 143 proposte, pari al 3,59%). Non è implausibile immaginare che il raccordo, all’interno del Governo, tra uffici ministeriali (i quali hanno titolo ad avanzare dubbi di legittimità sulle norme regionali, così determinando ai sensi della direttiva l’apertura del procedimento) e Dipartimento degli affari regionali sia tale che la stipula di accordi, negoziati e conclusi da quest’ultimo con le Regioni “incriminate”, determini nella gran parte dei casi la decisione del Consiglio dei ministri di non deliberare l’impugnazione della legge.

5. Difficile ritenere che tutto ciò sia il segno di un’ormai raggiunta armonia nei rapporti tra Stato e Regioni e non, invece, il segno di un’impronta politica volta a far prevalere l’intento di ricercare – mediante lo strumento dell’accordo – una consonanza con le Regioni che passi talvolta sopra all’effettivo rispetto della Costituzione. Tanto più, viene da aggiungere, se quelle Regioni sono governate, come è oggi nella maggior parte dei casi, da alleanze dello stesso colore politico del governo nazionale.

Un esempio potrebbe valere a spiegare quanto intendo dire.

Con la sentenza n. 136 del 2023, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 13, comma 43, della legge della Regione Siciliana n. 16 del 2022, con cui venivano differite per la sedicesima volta (sic!) dal 2015  (cioè dal momento della loro istituzione conseguente all’approvazione della legge Delrio) le elezioni di secondo grado per gli organi consiliari dei liberi consorzi comunali (in sostanza: le Province) e delle Città metropolitane in Sicilia, enti entrambi governati sempre e solo da gestioni commissariali. In chiara ed evidente elusione del giudicato costituzionale (art. 136 Cost.), la Regione Siciliana ha tuttavia provveduto, con l’art. 1 della legge regionale 5 luglio 2023, n. 6, a differire nuovamente il termine di svolgimento delle elezioni in questione e – questo il dato che può ritenersi francamente sorprendente – senza che ciò abbia provocato alcuna reazione da parte del Governo nazionale, che non ha ritenuto di impugnare la legge regionale.

In conclusione, ci si può chiedere se, ferma restando la condivisibilità dell’obiettivo di riduzione del contenzioso nella materia in questione, sia da accogliere con favore l’orientamento governativo che rinunci a esercitare oltre misura compiti di cruciale rilievo come l’impugnazione delle leggi regionali e, comunque, il monitoraggio sul rispetto degli impegni assunti. Un compito in cui viene in gioco il rispetto della Costituzione a fronte dell’esercizio di poteri legislativi regionali talvolta difficilmente sindacabili per altre vie, ad esempio perché riguardanti leggi di spesa, il rispetto di criteri contabili o misure di carattere esclusivamente organizzativo.

 La connotazione politica del giudizio in via principale, infatti, non dovrebbe far dimenticare la delicatezza e il rilievo del compito del Governo di verificare la rispondenza delle leggi regionali alla Costituzione, nell’ambito del quale la pur insopprimibile partisanship della decisione di evitare l’impugnazione non dovrebbe prevalere sulla necessità di salvaguardare il principio fondamentale dell’unità giuridica della Repubblica.

PS In assenza di una delibera del Governo, la questione di legittimità costituzionale della legge siciliana del luglio 2023 che ha nuovamente differito le elezioni degli organi consiliari degli enti di area vasta è stata sollevata in via incidentale dal TAR Sicilia, con ordinanza 14 febbraio 2024, n. 576.

Autore

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Translate »