Divagazioni sparse intorno all’ammissibilità del referendum sulla legge Calderoli
di Luca Castelli
Università degli Studi di Perugia
Il prossimo 13 gennaio la Corte costituzionale sarà chiamata a giudicare sull’ammissibilità della richiesta referendaria volta all’abrogazione totale della legge n. 86 del 2024 sull’autonomia differenziata, che è già stata fatta oggetto di numerosissime questioni di legittimità costituzionale decise con la sentenza n. 192 del 2024 (tra i primi commenti si veda il post di Pinelli su questo blog).
E per quanto i due giudizi rispondano a logiche separate e distinte – quello di legittimità costituzionale concernendo la valutazione di eventuali profili di incostituzionalità tanto della legge oggetto di referendum, quanto della normativa di risulta; quello di ammissibilità consistendo nel verificare se sussistano ostacoli di ordine costituzionale a che il corpo elettorale possa pronunciarsi per l’abrogazione (tra le tante sent. n. 50 del 2022) –, non è difficile immaginare che quanto scritto dai giudici di Palazzo della Consulta nella sentenza n. 192 finirà inevitabilmente per incidere sulla decisione che essi dovranno prendere intorno al referendum. Nella pronuncia depositata il 3 dicembre, infatti, ci sono alcuni passaggi suscettibili di condizionare, in un senso o nell’altro, la decisione di gennaio.
Si può anzitutto osservare come il quesito non violi i limiti testuali stabiliti dall’art. 75, secondo comma, in quanto la legge Calderoli non rientra in nessuna delle categorie per le quali è escluso il ricorso al referendum, né è riconducibile ad esse.
In particolare, la normativa in questione non è in contrasto con il limite delle leggi tributarie e di bilancio, sebbene l’originaria iniziativa legislativa presentata dal Ministro Calderoli (A.S. n. 615) fosse un disegno di legge collegato alla manovra di finanza pubblica (par. 1.6. DEF 2023).
A parte il fatto che la qualificazione formale di una legge come provvedimento collegato alla finanziaria è «di per sé non idonea a determinare effetti preclusivi in relazione alla sottoponibilità a referendum» (sent. n. 2 del 1994), ciò che conta a questo fine è l’esistenza di uno «stretto collegamento» all’ambito di operatività della legge di bilancio, di modo che «le norme sostanziali collegate incidano direttamente sul quadro delle coerenze macroeconomiche e siano essenziali per realizzare l’indispensabile equilibrio finanziario».
La stessa sentenza n. 192, tuttavia, rende piena confessione della mancanza nella legge Calderoli di un simile nesso e quindi dell’estraneità di tale disciplina alla tipologia delle leggi di bilancio, risultando «evidente che essa, di per sé, non produce maggiori oneri, trattandosi di una legge che regola la futura attuazione dell’art. 116, terzo comma, Cost.» (punto 24 cons. dir.).
Con riguardo invece al possibile contrasto del quesito referendario con i limiti ulteriori che la Corte ha dedotto dall’interpretazione logico-sistematica dell’art. 75, inquadrato nel contesto del complessivo sistema costituzionale, va anzitutto testato il limite delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, come progressivamente messo a punto dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 56 del 2022).
La legge n. 86, per quanto rimodellata dalla Corte, non può essere considerata l’unica disciplina attuativa conforme all’art. 116, terzo comma, potendo essere astrattamente possibili plurime modalità per «guidare gli organi competenti a svolgere il negoziato» (7.2. cons. dir.) e quindi, in definitiva, per garantire «una più ordinata attuazione» del principio di autonomia differenziata.
Su questo terreno, infatti, viene in rilievo un ampio ventaglio di opzioni rimesse alla discrezionalità del legislatore, il che evidentemente non consente di ritenere che possa sussistere un’unica soluzione costituzionalmente vincolata per tutelare il principio dell’autonomia differenziata.
Ugualmente è da escludere che la legge n. 86 abbia natura di legge costituzionalmente necessaria, tale per cui la sua eliminazione priverebbe totalmente di efficacia il richiamato principio. Lo dimostrano – a tacer d’altro – gli accordi preliminari (cd. pre-intese) che il Governo Gentiloni ha concluso nel 2018 con le Regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto pur in assenza di una legge quadro.
D’altra parte, non può neppure dirsi che tale legge appresti quella tutela minima al principio di autonomia differenziata che deriva da un equilibrato bilanciamento tra contrapposti interessi costituzionali (sent. n. 56 del 2022), giacché è ancora una volta la sentenza n. 192 ad ammonire come «l’ineliminabile concorrenza e differenza tra regioni e territori […], non potrà spingersi fino a minare la solidarietà tra lo Stato e le regioni e tra regioni, l’unità giuridica ed economica della Repubblica (art. 120 Cost.), l’eguaglianza dei cittadini nel godimento dei diritti (art. 3 Cost.), l’effettiva garanzia dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (art. 117, secondo comma, lettera m, Cost.)» (4. cons. dir.), così sottintendendo – evidentemente – che di questi ulteriori valori costituzionalmente rilevanti la legge Calderoli non abbia avuto adeguata considerazione.
Ma non è tutto. Nella sentenza in discorso il giudice costituzionale, pur non prendendo direttamente di petto il tema dell’autosufficienza dell’art. 116, terzo comma – che era stato invece dedotto nel ricorso pugliese (7.1. cons. dir.) – osserva tuttavia che «Il fatto che una norma costituzionale non rinvii a una legge non impedisce al legislatore statale di dettare norme attuative» e conclude che «legittimamente lo Stato ha scelto di approvare una legge generale in materia di autonomia differenziata» (7.2. cons. dir.).
L’argomento viene utilizzato per confutare l’asserita illegittimità integrale della legge, ma nel facoltizzare il legislatore ad intervenire la Corte conferma – a contrario – come non vi sia un obbligo costituzionale che renda necessaria una disciplina legislativa dell’autonomia differenziata e dunque il suo eventuale venir meno ad opera del referendum non recherebbe alcun «grave vulnus» (sent. n. 10 del 2020) all’applicazione del principio dell’autonomia differenziata. Pertanto, anche sotto il profilo dell’incidenza dell’iniziativa referendaria sul quadro normativo di riferimento – che la Corte è pure chiamata a verificare – non sembrano esservi ostacoli alla sua ammissibilità.
Il quesito referendario, poi, appare chiaro, semplice, non ambiguo. Depone in questa direzione anzitutto il titolo che gli è stato dato, che ne identifica l’oggetto in piena aderenza con il significato obiettivo che l’abrogazione produrrebbe nell’ordinamento e rende dunque tale oggetto comprensibile all’elettore, consentendogli di esprimere un voto libero e consapevole.
Dalla lettura del titolo, infatti, l’elettore ricava de plano la conclusione che il suo voto determinerebbe l’eliminazione in blocco della legge Calderoli, sul presupposto evidentemente che neppure i correttivi introdotti dalla Corte costituzionale siano sufficienti a ritenerla un’ordinata e coerente attuazione dell’art. 116, terzo comma.
Il quesito è dunque idoneo a conseguire il fine incorporato nella domanda referendaria, che appunto consiste nel rimuovere dall’ordinamento l’intero testo normativo; ed è altresì univoco nel fine intrinseco che intende perseguire, dato che questo fine viene chiaramente in rilievo. Da questo punto di vista, anzi, la circostanza che il referendum investa il testo legislativo nella sua globalità esclude a maggior ragione ogni possibile ambiguità sulla portata dell’intervento abrogativo.
Molto più controversa, invece, è la sussistenza del requisito dell’omogeneità del quesito. Qui è sempre la sentenza n. 192 a fornire, stavolta, un solido argomento in favore dell’inammissibilità dell’iniziativa referendaria, allorché sottolinea come «Le censure relative all’intera legge vanno dichiarate inammissibili in quanto si appuntano su un determinato contenuto normativo e perciò non sono sostenibili riguardo a una legge contenente molte norme eterogenee» (29.1. cons. dir.).
A questo punto potrà mai la Corte costituzionale ritenere omogeneo il quesito sulla legge Calderoli quando, appena un mese prima, ha detto che quella legge è eterogenea? Hic Rhodus, hic salta…
In realtà, una altrettanto valida controargomentazione può rinvenirsi in alcuni passaggi della sentenza n. 56 del 2022 che ha dichiarato ammissibile la richiesta di referendum avente ad oggetto il decreto legislativo n. 235 del 2012 in materia di incandidabilità, con motivazioni che – in punto di omogeneità del quesito – ben si attagliano al caso di specie, non da ultimo perché anche quel referendum aveva ad oggetto un intero testo normativo.
Rispetto alla legge n. 86 del 2024, in effetti, non sembra che ci si trovi in presenza di una «radicale disomogeneità» della disciplina (sent. n. 16 del 1978), tale da comportare senz’altro una pronuncia di inammissibilità in ragione della «irriducibile pluralità delle questioni» su cui l’elettore sarebbe chiamato a pronunciarsi con un voto secco.
Al contrario, sembra potersi ravvisare una sostanziale unitarietà della materia, giacché le norme della legge Calderoli sono comunque accomunate – per riprendere la formula usata dalla Corte in sede di verifica dei presupposti di validità del decreto-legge – da una medesima «traiettoria finalistica portante» (sent. n. 8/2022), essendo tutte preordinate, a vario titolo, a dare attuazione al principio dell’autonomia differenziata come affermato dall’art. 116, terzo comma.
In quest’ottica, tali norme sono percorse da un identico filo rosso – hanno cioè una «matrice razionalmente unitaria» –, perché pur afferendo ad ambiti materiali diversi (approvazione delle intese, determinazione dei Lep, trasferimento delle funzioni, profili finanziari, etc.), convergono tutte verso il perseguimento del medesimo obiettivo, che è appunto quello di “mettere a terra” l’autonomia differenziata; un obiettivo, tuttavia, che i promotori del referendum contestano in toto, il che giustifica l’unicità della richiesta con cui affidano alla risposta del corpo elettorale il compito di impedire che un simile risultato possa essere conseguito.
Né lo “ius superveniens” rappresentato dalla sentenza n. 192 dovrebbe essere considerato uno stravolgimento tale dei contenuti originari della legge da pregiudicare la matrice razionalmente unitaria del quesito in ragione del radicale mutamento dell’oggetto che le modifiche introdotte avrebbero provocato.
Non c’è dubbio che il giudice costituzionale abbia effettuato un’ampia opera di potatura di qualificanti disposizioni della legge Calderoli. E tuttavia è la stessa Corte di Cassazione, all’esito del raffronto tra la normativa originaria e quella sopravvenuta, a rilevare l’insussistenza dei presupposti per arrestare il procedimento referendario, con ciò confermando che i «principi ispiratori» che informano le due discipline non sono stati modificati (sent. n. 68 del 1978).
Ma se i principi ispiratori restano gli stessi, nonostante il «massiccio effetto demolitorio» della Corte costituzionale (ordinanza UCR del 12 dicembre), a maggior ragione si giustifica un quesito che coinvolga l’intero testo – pur “emendato” – della legge Calderoli, perché la ratio dell’iniziativa referendaria è sempre quella di evitare l’attuazione dell’autonomia differenziata così come disciplinata dalla legge n. 86.
E a ben vedere quello che resta in piedi di tale legge, anche dopo l’intervento ablativo della Corte costituzionale, è un impianto normativo comunque consistente, ove si consideri il combinato disposto delle disposizioni che hanno passato indenni il vaglio di costituzionalità e di quelle che sono state fatte oggetto di «reinterpretazioni “sananti”» (Ruggeri).
Un impianto – può aggiungersi – tuttora inevitabilmente pervaso da quel «comune principio» che lega le residue disposizioni oggetto di abrogazione e che il corpo elettorale continua a percepire nitidamente leggendo il quesito. Non sembra infatti necessario uno sforzo interpretativo particolarmente intenso per estrarre dalla pluralità delle norme sopravvissute ai correttivi della Corte un quesito che, nel suo nucleo essenziale, sollecita gli elettori a cancellare questa complessiva modalità di “guidare” il procedimento per ottenere l’autonomia differenziata.
A ben vedere, allora, il temuto effetto tellurico che la sentenza n. 192 avrebbe prodotto sull’oggetto del referendum non arriva ad esibire quella capacità trasformativa tale da minare alla radice la coerenza del quesito e il suo carattere unitario.
In altri termini, se terremoto c’è stato ha compromesso alcuni muri portanti, ma l’edificio pur gravemente lesionato è rimasto in piedi. Quindi l’esigenza di abbatterlo completamente per poi ricostruirlo su ben altre fondamenta mantiene intatte le sue ragioni.
Detto tutto ciò, formulare qualsiasi pronostico sull’imminente pronunciamento della Corte sarebbe un’operazione del tutto temeraria, specie in una materia come questa, caratterizzata da una giurisprudenza quantomai oscillante e dagli esiti particolarmente incerti. Nondimeno, il tentativo di fissare qualche punto fermo per provare a fare un po’ di chiarezza soprattutto a beneficio del cittadino elettore non è mai inutiliter dato.
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