Firenze, 13 maggio 2024
di Stefano Civitarese Matteucci
L’assemblea dell’associazione Amici del diritto pubblico, tenutasi a Firenze il 13 maggio 2024, ha segnato il definitivo passaggio di consegne tra i fondatori dell’Associazione e la successiva generazione di studiosi formatisi nella “scuola” che la rivista Diritto pubblico incarna, i cui valori sono riassunti nel Manifesto di questo Blog.
Chi scrive è stato eletto presidente dell’Associazione, succedendo a Francesco Merloni.
Il direttivo della Rivista è stato sensibilmente rimaneggiato, sia per sostituire il suo direttore, Cesare Pinelli, e altri componenti uscenti (Paolo Carnevale, Stefano Civitarese, Aldo Sandulli), sia per integrarlo con diverse colleghe, così avviando un ormai improcrastinabile riequilibrio di genere nella composizione del comitato direttivo della Rivista. Sono state, quindi, elette nel direttivo Benedetta Barbisan, Elisa Cavasino, Chiara Cudia, Barbara Marchetti, Chiara Tripodina, oltre a Stefano Battini, Enrico Carloni, Francesco Rimoli. Il nuovo comitato direttivo si è immediatamente riunito per eleggere Alessandra Pioggia direttora editoriale della Rivista.
Cesare Pinelli, che ha guidato la Rivista per oltre dieci anni – portandola a consolidare il suo ruolo di primo piano nel panorama delle riviste giuridiche italiane – è, così, l’ultimo degli originari componenti a lasciare il direttivo.
Lo stesso comitato editoriale del Blog-Diario di diritto pubblico, la creatura più recente dell’Associazione, è stato integrato accogliendo al suo interno forze nuove che consentano di dare maggiore slancio al suo obiettivo di divenire punto di riferimento nel dibattito pubblico, così come Diritto pubblico lo è da anni sul piano del dibattito scientifico. In corrispondenza dell’uscita di Francesco Bilancia, Stefano Civitarese e Alessandra Pioggia, sono entrati nel comitato editoriale Manuela Consito, Ambrogio De Siano, Francesca Angelini, Camilla Buzzacchi, Giovanni Di Cosimo, Alessia Cozzi, Alfredo Moliterni. Anche il comitato editoriale del Diario si è riunito per nominare i due cordinatori, confermando Eugenio Bruti Liberati cui si affianca Giorgio Repetto.
Il motivo continuità/discontinuità attraversa la parabola culturale dell’associazione, nata in seno al Gruppo San Martino, sorto a sua volta nel 1980 sull’impulso di una discontinuità necessaria. Questo motivo ha caratterizzato anche l’assemblea del 13 maggio scorso. Al di là del rito delle nomine, inevitabile in ogni istituzione che funzioni, come sempre nei nostri incontri la discussione – incentrata soprattutto sul ruolo del blog – ha portato alla luce temi importanti e delineato un “programma” cui la presidenza dovrà ispirarsi.
Anzitutto la continuità. Diritto pubblico, ha ricordato Aldo Travi intervenendo nella discussione, nasce con un programma. Ferma restando l’apertura a qualunque orientamento culturale e metodologico, la ragione d’essere della Rivista sta in una questione di fondo, che si può compendiare nella ricerca di una plausibile giustificazione, se esiste, della specialità del diritto pubblico. Riprendendo le parole dello scritto In limine di Andrea Orsi Battaglini, nel primo numero della Rivista, «il diritto pubblico che abbiamo conosciuto non è stato soltanto autorità: nel mentre che si costruiva come tale generava anche il suo limite, il suo opposto; e il fatto che, teoricamente e politicamente, abbia costantemente prevalso
la prima, non vale ad annullare la presenza del secondo, della contraddizione irrisolta.
Questa contraddizione è l’assoggettamento dello Stato al diritto, la libertà del soggetto definita dalla legge, lo Stato di diritto: può darsi che questa vecchia nozione, di cui altrove si continua a discutere, non foss’altro che per analizzarne l’agonia, e che solo da noi non merita neppure una voce di enciclopedia, possa essere, criticamente riesaminata, la chiave determinante per ripensare il diritto pubblico?».
Se è consentita una notazione personale, il passaggio in In limine che precede questa domanda ha costituito il motivo di fondo della ricerca che ho cercato di portare avanti nella mia attività di studioso, ormai più che trentennale. Osservava Orsi Battaglini che «l’atteggiamento antipositivistico mostra … il suo volto più propriamente antiscientifico; il discorso, talora cinico, talora romantico, celebra la sua resa alla ‘strapotenza dell’esistente’; e la scienza del diritto pubblico, in questa prospettiva, sembra finita da tempo.
È possibile realisticamente (o anche solo utopisticamente) credere che (ne) possa rinascere (un’altra)? Ha senso, o utilità proporsi questa domanda, di fronte alla apparente ragionevolezza di tanti pragmatismi? Questa è la trama di riflessione che intendiamo proporre. Senza avere, è appena il caso di dirlo, alcuna pregiudiziale risposta, ma solo ponendo qualche ulteriore domanda».
In una nota nella prima pagina del primo numero della Rivista si giustifica, inoltre, la sua nascita, tra l’altro, con «la necessità di rendere organizzato e programmatico lo sforzo di stabilire una sempre più stretta comunicazione tra i vari rami del diritto pubblico aprendo, nel contempo, un confronto più serrato con le discipline privatistiche», dopo aver osservato che «nel fitto e irrinunciabile tessuto di relazioni tra le diverse scienze sociali, debba mantenersi la specificità del metodo giuridico».
La presenza sin dall’inizio nell’organo direttivo, così come nell’Associazione, di “amministrativisti” e “costituzionalisti”, è frutto di questa impostazione, così come la costante apertura a una pluralità di approcci teorici e metodologici che aiutassero a rispondere a quelle domande di fondo. Il costante riferimento alla Costituzione repubblicana, non in termini rituali o retorici, ma critici e problematici, deriva anch’essa da questa fondamentale scelta originaria, che Alessandra Pioggia, in coerenza con la sua opera scientifica, porrà a base del suo mandato.
Nel confermare questa attitudine vi è la più chiara espressione della continuità, che implica paradossalmente l’esigenza della discontinuità. Di come, nella trama del discorso sul posto del diritto pubblico nell’ordinamento giuridico, possa essere declinata la dialettica continuità/discontinuità si è occupato in questo Blog Leonardo Ferrara, di cui faccio mia questa premessa: «continuità e discontinuità sono in dialettica perenne e … quella che era una discontinuità può essere ora vista come una continuità».
Continuità e discontinuità sono anche la più comoda chiave di lettura del recente dibattito tra vecchi e nuovi componenti del direttivo della Rivista sul futuro del diritto pubblico, che apparirà sul primo fascicolo del 2024. Nell’editoriale di maggio di questo Blog Cesare Pinelli, presentando questo dibattito, osserva che il diritto pubblico «in tanto ha potuto organizzare la convivenza di più generazioni, in quanto si è disposto intorno a princìpi destinati a durare, e tali da richiedere, per comprenderli, consapevolezza di una storicità che non può non abbracciare allo stesso modo passato, presente e futuro del diritto».
Per parte mia continuo (scusate) a pensare che la discontinuità del multiforme programma originario degli Amici del diritto pubblico sia insita nella necessità di lasciarsi alle spalle racconti edulcorati o fintamente neutrali del diritto (anche costituzionale) per andare al fondo dei conflitti che il diritto non può di per sé risolvere, ma solo, a volte, mediare.
Quest’ultimo punto è particolarmente evidente, nella scelta, due anni or sono, di creare un Diario (questo Blog) il cui sottotitolo è, non a caso, democrazia, politiche, conflitti.
Nel suo intervento in assemblea, Domenico Sorace ci ha esortato a rendere più evidente la dimensione “politica” che tale formula sottintende, in qualche modo a scendere in campo sui temi del dibattito politico-istituzionale e sociale cari agli Amici del diritto pubblico. Non è che questo non sia stato fatto. Il primo editoriale, di Eugenio Bruti Liberati, auspica un più deciso superamento del neo-liberismo anche sul piano delle politiche sociali; il dibattito sul premierato, aperto da Francesco Bilancia, ha visto intervenire altri componenti del comitato editoriale con posizioni fortemente critiche della proposta di riforma costituzionale presentata dal governo; il tema del reclutamento e dell’autonomia universitaria è stato oggetto di un editoriale volto a contrastare l’orientamento prevalente nella legislazione universitaria; il presidente dell’Associazione, Francesco Merloni, è intervenuto criticamente sulle politiche di austerità dell’Unione europea.
È vero, però, come l’assemblea ha condiviso, che è auspicabile rendere più evidente questo ruolo e il collegamento tra il Blog e l’Associazione. Vi sono vari modi per farlo, ma qualunque di essi sottintende un’esigenza organizzativa, che risponde peraltro a un sentire manifestato negli anni da diversi soci. Incontrarsi di tanto in tanto per discutere dei grandi temi del momento e, se possibile, identificare un orientamento comune – eventualmente articolato – che rispecchi la posizione dell’Associazione e possa essere utile a orientare il dibattito pubblico. Si tratta, in sostanza, di fare dell’Associazione anche un foro che promuova momenti di dibattito, non necessariamente riservati ai soci, nelle forme volta a volta che riterremo opportune. Non necessariamente in presenza, quindi, e, utilizzando un’espressione divenuta familiare agli studiosi del procedimento amministrativo, non necessariamente in modalità sincrona.
Raccogliamo, insomma, il testimone di una tradizione (recente ma illustre) che fa della capacità di rinnovarsi guardando criticamente alla realtà, ma senza rinunciare al rigore metodologico della scienza, il suo criterio ispiratore. L’augurio è che tutti insieme riusciamo, a nostra volta, a trasmettere alle prossime generazioni di studiosi l’impegno e la passione che le precedenti ci hanno trasmesso; che i nostri piccoli discorsi possano, almeno un po’, penetrare quella scorza di totale indifferenza per ogni discussione argomentata e culturalmente consapevole (il ruolo degli intellettuali nella società) che sembra avere definitivamente ricoperto il “dibattito pubblico”. Il che credo essere il più grande pericolo che la democrazia corre.
Chiudo, allora, con le parole che David Hume scriveva al suo amico Gilbert Elliot nel 1752: «What danger can ever come from ingenious Reasoning & Enquiry?».
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