I costi ambientali nascosti dell’intelligenza artificiale

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di Barbara Marchetti

L’Unione europea sta promuovendo la transizione digitale e con essa lo sviluppo di intelligenza artificiale (IA), al fine di posizionarsi tra i leader globali nel settore. A parte il White Paper on Artificial Intelligence (2020) e l’AI Act ormai giunto all’approvazione finale, altri atti sono stati emanati per regolare il settore digitale (tra cui il Digital Services Act e il Digital Markets Act, entrambi del 2022) al fine di creare un mercato armonizzato e competitivo dei servizi digitali.

Dal punto di vista dell’impegno finanziario, il Next Generation EU (2020) e i PRR nazionali sorreggono oltre che la transizione verde (37% delle risorse) anche quella digitale (20%).

La digitalizzazione della società e dei rapporti economici crea a sua volta le condizioni per l’esplosione dell’IA, che porta allo sviluppo di sistemi sempre più complessi, basati sulle reti neurali, e più recentemente, su capacità computazionali inimmaginabili fino a poco tempo fa, proprie dei sistemi General Purpose come ChatGPT.

L’Unione europea crede che l’IA possa fornire soluzioni tecnologiche fondamentali per raggiungere la neutralità climatica e attuare la transizione ecologica, e quest’ultima, come noto, detterà l’agenda europea nei decenni a venire. Da questa tecnologia ci si aspetta grandi cose: ricette per l’innovazione, strumenti per guidare uno sviluppo economico sostenibile e per rendere i sistemi produttivi compatibili con l’ambiente, soluzioni per la tutela degli eco-sistemi.

Questo fa sì che nel contesto dell’Unione le due transizioni siano strettamente connesse e intrecciate.

È evidente che se l’IA si pone come risorsa preziosa per il raggiungimento degli obiettivi green e per le riforme innescate dal Next generation EU, il suo uso è destinato a diventare via via più massiccio, sia nella sfera pubblica, sia da parte delle imprese. Essa può avere performance eccezionali, cui non sarebbe immaginabile rinunciare né nel contesto del nostro Paese né in Europa.

Allo stesso tempo, ogni politica e legislazione dell’Ue deve essere coerente rispetto al raggiungimento della neutralità climatica nel 2050, e a tale regola non può certo sfuggire il settore digitale e l’IA.

Ma quanto sono compatibili tra loro le twin-transitions? Siamo certi che i costi energetici ed ambientali di addestramento e di uso dell’IA non sopravanzino i vantaggi che questa tecnologia può apportare alla tutela ambientale? Sono adeguatamente calcolati e considerati i costi per l’ambiente delle applicazioni tecnologiche più sofisticate e potenti?

Alcuni dati: i data Center americani che ospitano i server che elaborano i dati consumano oggi il 2% dell’energia totale degli Stati Uniti, da 10 a 50 volte di più di quanto consuma un qualunque altro impianto industriale della stessa dimensione.  Entro il 2030 si prevede che il fabbisogno raggiungerà il 20%.

È stato evidenziato che ChatGPT3 ha bisogno di 500ml di acqua per ogni gruppo di semplici domande e risposte (da 20 a 50), mentre la creazione di immagini richiede una quantità maggiore. ChatGPT4 presenta costi ambientali in misura superiore. Un altro studio di Sajjad Moazeni (Washington) ha dimostrato che centinaia di milioni di interrogazioni a chat GPT possono costare quantità di gigawattora equivalenti al consumo energetico di 33 mila famiglie statunitensi.

Tra i vari suggerimenti della società Gartner Inc., una multinazionale leader nella consulenza strategica nel campo delle tecnologie dell’informazione, per rendere l’IA sostenibile occorre una valutazione di impatto ambientale dei sistemi per essere certi che l’IA produca più valore di quello che distrugge.

Al World Economic Forum di Davos del 2024 il Presidente del conglomerato Hitachi Toshihaki Higashihara, ha affermato che entro il 2050 i centri di calcolo e i servizi cloud avranno bisogno di 1000 volte più energia elettrica di oggi. Ma senza andare così lontano, Renato Mazzoncini, amministratore delegato della società lombarda di servizi in rete A2A, ha detto che la sua società deve triplicare la potenza elettrica su Milano per sostenere i picchi di consumo resi molto più elevati dall’ uso diffuso di ChatGPT, che consuma 3 volte l’energia che Google impiegava per dare la stessa risposta.

Jensen Huang, amministratore delegato del colosso americano dei microchip Nvidia prevede che nei prossimi 5 anni si raddoppierà da mille a duemila miliardi di dollari il valore degli investimenti nei data center mondiali; oltre al consumo energetico, ciò avrà conseguenze significative anche sulle riserve di acqua. A The Dalles (Oregon), dove Google ha tre data center e ne sta costruendo altri due, il governo della città ha dovuto affrontare una causa con agricoltori, ambientalisti e nativi perché non voleva rivelare la quantità di acqua usata per raffreddare i server.

Insomma come è stato messo in luce da Kate Crawford, nel suo Atlas of AI (tradotto in Italia con il titolo Né intelligente, né artificiale) l’IA è tutt’altro che immateriale e “gratuita” dal punto di vista ambientale: richiede infrastrutture fisiche, terre rare, connettività super veloce tra data center, quantità molto elevate di energia e acqua. Inoltre la rapida evoluzione tecnologica rende ingente anche il problema dei rifiuti digitali (e-waste), di cui solo una percentuale molto limitata pare essere riciclabile (17%). Quanta consapevolezza c’è in ordine a questo problema?

E questi costi sono tenuti in considerazione quando si progetta, si sviluppa e si impiega IA da parte dei soggetti privati e pubblici? Il nostro Paese sta preparandosi alla crescente richiesta di energia connessa all’uso di questa tecnologia? L’AI Act non ha previsto, in proposito, una attenta valutazione dell’impatto ambientale prodotto da questa tecnologia, in particolare dei suoi modelli più energivori; e nemmeno il decreto legislativo italiano emanato in questi giorni dedicata la necessaria considerazione al problema.

Tuttavia qualcosa si può fare da subito. La prima cosa è semplice: spiegare che interrogare ChatGPT non è gratuito, ma presenta costi ambientali che, moltiplicati per un alto numero di utenti, sono elevati. L’altra cosa è rintracciare il più possibile i costi ambientali (spesso nascosti) dell’IA e farne una valutazione in termini di rischi/benefici. Per fare ciò occorre guardare agli interventi e alle azioni promossi nell’economia e nel pubblico guardando non solo alle finalità perseguite ma anche agli strumenti usati, in modo che i costi di questi ultimi non siano maggiori dei vantaggi conseguibili.

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