Il futuro del diritto pubblico. Il tempo e le sfide?
di Cesare Pinelli
Il primo fascicolo di Diritto pubblico del 2024 ospita le riflessioni di membri del direttivo della rivista intorno al “futuro del diritto pubblico”, sul quale avevano tenuto a gennaio un seminario introdotto da un questionario. Le domande erano articolate su due assi. Quello della possibilità di considerare ancora il futuro nel quadro del rapporto fra stabilità e mutamento su cui era stata costruita la dimensione diacronica del costituzionalismo del Novecento, e quello della capacità del diritto pubblico di stare al passo delle trasformazioni che stanno investendo la convivenza, dalle transizioni digitale e ambientale all’intelligenza artificiale.
Qui, nell’approfondire le buone ragioni per occuparci del tema, è inevitabile interrogarsi sul rapporto fra i due assi del questionario.
Nella tradizione giuspubblicistica, il tema del futuro veniva fuori nelle fasi di transizione da un ordinamento a un altro, sulla premessa di una rottura costituzionale intervenuta e della conseguente necessità di pensare la convivenza anche giuridica su nuove basi. Solo in presenza di incertezze molto consistenti l’attenzione al futuro diventava inevitabile, e con essa qualche esercizio predittivo per il resto ritenuto estraneo alla scienza giuridica. Quante volte abbiamo letto o sentito che non siamo degli aruspici, o che non abbiamo la palla di vetro?
La fase che stiamo passando non si può inserire in questa sequenza. Da una parte parliamo sempre più spesso – palla di vetro o meno – di intelligenza artificiale, di transizione digitale e ambientale, di diritti delle generazioni future, sapendo di dovercene occupare quali questioni cruciali per il futuro. Ma dall’altra il futuro stesso della convivenza resta fuori dal quadro, così come le connesse domande su cosa possa e cosa debba restare del diritto pubblico che abbiamo conosciuto, interpretato, vissuto. È come se l’attenzione a questioni che riteniamo destinate a disegnare il futuro si riducesse alla ricerca di soluzioni tecniche, regole, standard, meccanismi. È ancora fiducia, o è già indifferenza per i princìpi? E in ogni caso come si spiega questo approccio, proprio in una fase in cui l’incertezza non è perlomeno minore che in altre, e investe la stessa tenuta dei princìpi?
A mio avviso prevalgono ragioni che non dipendono dai giuristi, ma dall’ambiente in cui si trovano immersi. Il futuro come dimensione necessariamente aperta del tempo rimane schiacciato, sia quando una pretesa autoregolazione dei mercati valorizza il mutamento in quanto tale, privando il futuro di senso, sia nella riduzione all’‘eterno presente’ dei circuiti comunicativi, sia col ritorno a un’idea di popolo come comunità originaria sempre uguale a se stessa.
La combinazione fra populismo e neoliberismo non è solo un’esperienza pienamente dispiegata in alcuni contesti nazionali. È un clima che si respira indipendentemente da ascrizioni a certi partiti, perché passa comunque attraverso circuiti comunicativi appositamente costruiti per generalizzare aspettative e rappresentazioni degli utenti. Così, quando il mutamento inscritto nelle catene di consumo diventa inafferrabile e perciò apparente, e la stabilità ricollegabile all’identità nazionale si riduce a coazione a ripetere del sempre uguale, nulla rimane del futuro come orizzonte di senso aperto alle incognite che è presupposto dal tempo delle costituzioni.
Per questo prendere sul serio il discorso sul futuro non comporta più, per il diritto pubblico, il semplice rischio di azzardare previsioni. Equivale piuttosto a sfidare quella che sta diventando opinione comune in un deserto di alternative, restituendo spessore temporale alle maggiori questioni aperte alla nostra riflessione. Chi intenda discutere la standardizzazione delle valutazioni, gli automatismi o le regole dell’algoritmo come uno spartiacque insormontabile non può essere per ciò stesso accusato di restare impigliato nella nostalgia per le cattedrali concettuali, se non per le ideologie, del Novecento.
La traccia di queste ultime è scomparsa, e con essa le proiezioni che a lungo hanno gettato sul diritto pubblico, che invece continua ad essere, almeno per ora, ius quo utimur. Un diritto che in tanto ha potuto organizzare la convivenza di più generazioni, in quanto si è disposto intorno a princìpi destinati a durare, e tali da richiedere, per comprenderli, consapevolezza di una storicità che non può non abbracciare allo stesso modo passato, presente e futuro del diritto.
Su questa premessa diventa possibile aprire l’intero discorso sul futuro superando paradossi e contraddizioni, senza esaurirlo nello studio tecnico di questioni che volta per volta ci appaiano epocali.