Il ruolo delle Regioni nel contrasto alla pandemia
di Carlo Alberto Ciaralli
ABSTRACT: La sentenza della Corte costituzionale del 12 marzo 2021, n. 37, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose disposizioni contenute nella legge regionale della Valle d’Aosta n. 11/2020, avente ad oggetto misure di contenimento della diffusione del virus Covid-19 nelle attività sociali ed economiche regionali. La Corte costituzionale ha ricondotto le disposizioni emergenziali di contrasto alla diffusione del virus nell’ambito della “profilassi internazionale”, materia di competenza esclusiva statale, ridimensionando fortemente il ruolo delle Regioni nella gestione dell’emergenza sanitaria.
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Con la pronuncia del 12 marzo 2021, n. 37, la Corte costituzionale è intervenuta sul delicato tema del rapporto tra Stato e Regioni nell’elaborazione ed implementazione delle politiche di contrasto all’emergenza sanitaria derivante dalla diffusione del virus Covid-19, riconoscendo allo Stato una sostanziale primazia nell’imposizione delle misure necessarie al fine di fronteggiare la drammatica diffusione dell’infezione su scala nazionale.
La sentenza n. 37/2021 si rivela assai interessante, specie in relazione alla gestione verticale della crisi sanitaria, nonché con riferimento alla querelle, protrattasi per lungo tempo, circa l’effettivo ruolo riconosciuto alle Regioni (e, in particolare, ai Presidenti di Regione) nell’affrontare le conseguenze drammatiche della pandemia. Come noto a tutti, specie in coincidenza di importanti appuntamenti elettorali, taluni Presidenti di Regione hanno assunto un protagonismo mediatico di primo momento, rivendicando sovente scelte che si ponevano in parziale distonia con quanto disposto dallo Stato centrale. Si pensi, per citare solo alcuni esempi, alla “chiusura” unilaterale dei confini regionali, alla contrattazione autonoma per l’acquisto di vaccini non ancora validati ed adottati né da EMA né dalle autorità sanitarie nazionali, nonché alla redazione di specifici profili di prevalenza nell’accesso prioritario alla vaccinazione.
In particolare, la Corte costituzionale è stata chiamata a valutare la conformità alla Costituzione di talune disposizioni contenute nella legge regionale della Valle d’Aosta 9 dicembre 2020, n. 11, recante “Misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività sociali ed economiche della Regione autonoma Valle d’Aosta in relazione allo stato d’emergenza”. Dal punto di vista del riparto delle competenze tra Stato e Regioni, la Corte costituzionale, apertis verbis, ha riconosciuto l’afferenza delle misure di contrasto all’emergenza pandemica da Covid-19 (e di ogni altra emergenza sanitaria involgente l’applicazione di “procedure elaborate in sede internazionale e sovranazionale”) alla materia “profilassi internazionale”, quindi di esclusiva competenza dello Stato, a norma dell’art. 117, co. 2, lett. q), della Costituzione (fra le altre, si vedano le precedenti pronunce nn. 5/2018, 270/2016, 173/2014, 406/2005, 12/2004).
In prima istanza, il Giudice delle leggi ha posto alla base della propria decisione la necessità, ai fini di arginare gli effetti nefasti della pandemia, di una “disciplina unitaria, di carattere nazionale, idonea a preservare l’uguaglianza delle persone nell’esercizio del fondamentale diritto alla salute e a tutelare contemporaneamente l’interesse della collettività” (Considerato in Diritto, p.to 7.1). A nulla varrebbe, sul punto, la considerazione per la quale il sistema sanitario regionale sia stato il principale “ammortizzatore” nelle fasi particolarmente acute della diffusione dell’infezione ed un attore di primo piano nell’organizzatore territoriale della campagna vaccinale tuttora in corso, ponendo così le Regioni in una condizione di “eccezionale” visibilità nei riguardi dei cittadini. Ad avviso della Corte, infatti, il legislatore nazionale può, in ogni momento, imporre ai servizi sanitari regionali di adeguarsi a “criteri vincolanti di azione, e modalità di conseguimento di obiettivi che la medesima legge statale, e gli atti adottati sulla base di essa, fissano, quando coessenziali al disegno di contrasto di una crisi epidemica” (Considerato in Diritto, p.to 7.2). In tal senso, l’esclusività della competenza statale in materia è in grado di attrarre la produzione legislativa e regolamentare, nonché la complementare funzione amministrativa.
Sulla base della riconduzione delle misure di contrasto alla competenza esclusiva dello Stato, la Corte ha ritenuto che fosse sufficiente ad assicurare il coinvolgimento delle Regioni quanto disposto dai decreti legge nn. 19/2020 e 33/2020, laddove si prevede la necessaria acquisizione del parere dei Presidenti di Regione interessati da misure restrittive o, in caso di misure applicabili all’intero territorio nazionale, di quello del Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, nonché la possibilità per le Regioni di introdurre “misure derogatorie” restrittive o, per converso, ampliative rispetto a quelle già vigenti in ambito nazionale, previa intesa con il Ministro della Salute, nei casi e secondo le modalità previste dai dpcm. In tal senso, a parere della Corte, verrebbe salvaguardato il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, prevedendo un “percorso gestionale” concordato, laddove le misure previste dalla Stato non verrebbero “imposte”, bensì “condivise” con le Regioni, anche sulla base degli specifici dati territoriali relativi ai contagi. La riconducibilità delle misure emergenziali di contrasto alla pandemia alla materia “profilassi internazionale” non è stata, tuttavia, unanimemente ritenuta plausibile, giacché le argomentazioni proposte dalla Corte apparirebbero «piuttosto apodittiche e prive anche di un chiaro ancoramento che non sia quello logico-razionale, prospettato dallo stesso giudice» (V. Baldini, p. 417).
In sostanza, sulla base dello scrutinio svolto dalla Corte, alle Regioni viene interdetta qualsivoglia disciplina di carattere locale che, sovrapponendosi incongruamente a quella nazionale, tenda a “deviare” dal tracciato predisposto dal livello centrale, invadendo così la sfera di attribuzione riconosciuta allo Stato, per nulla rilevando la specialità statutaria della Regione Valle d’Aosta, posto che la competenza statale in materia di “profilassi internazionale” preesisteva, anche nei riguardi dell’ente regionale in parola, alla riforma del Titolo V della Costituzione (in tal senso, v. l’art. 36, co. 1, n. 1), della legge 16 maggio 1978, n. 196, recante “Norme di attuazione dello statuto speciale della Valle d’Aosta”). Sul punto, una parte dei commentatori ha paventato il rischio che la pronuncia abbia potuto recare in nuce l’intento di «dare copertura alla poderosa costruzione statale di contrasto alla pandemia, evitando qualsiasi possibile interferenza delle Regioni, anche nell’esercizio di competenze costituzionalmente garantite» (L. Cuocolo-F. Gallarati, p. 4), legittimando, così, una profonda estensione della nozione di “profilassi internazionale”, atta a ricondurvi, in senso teleologico, ogni azione intrapresa al fine di contenere la diffusione dell’infezione.
D’altro canto, in funzione di “contrappeso” rispetto ad una statuizione così perentoria, dalla pronuncia n. 37/2021 emerge anche una qualche attenzione nei riguardi della “preservazione” del valore costituzionale del principio autonomista, stante il potenziale “pericolo” che l’attivismo statale possa sfociare in un’illegittima compressione dell’autonomia regionale. Tale “attenzione” si estrinseca, necessariamente, nel richiamo al doveroso rispetto della disciplina costituzionale sul riparto delle competenze tra Stato e Regioni, articolandosi tale percorso in una duplice direzione: in primo luogo, nelle materie di competenza concorrente “tutela della salute” e “protezione civile”, verrebbe assicurato alle strutture sanitarie regionali di poter “operare a fini di igiene e profilassi, ma nei limiti in cui esse si inseriscono armonicamente nel quadro delle misure straordinarie adottate a livello nazionale, stante il grave pericolo per l’incolumità pubblica” (Considerato in Diritto, p.to 7.2). In secondo luogo, residuerebbero nella disponibilità esclusiva delle Regioni (competenza legislativa “residuale”, ex art. 117, co. 4, Cost.), tutte quelle azioni e provvedimenti che, atteggiandosi quali applicazioni “funzionali” delle disposizioni nazionali, non siano in alcun modo capaci di “interferire con quanto determinato dalla legge statale e dagli atti assunti sulla base di essa”, quali, a titolo esemplificativo, “la definizione di quali organi siano competenti, nell’ambito dell’ordinamento regionale, sia a prestare la collaborazione demandata dallo Stato, sia ad esercitare le attribuzioni demandate alla Regione” (Considerato in Diritto, p.to 16. In tal senso, si veda anche la pronuncia n. 250/2020).
Le Regioni, in tempo d’emergenza, hanno visto affermare fattualmente un nuovo protagonismo istituzionale. In occasione della pandemia, a ben vedere, l’ente regionale ha saputo imporsi e “proporsi” quale essenziale fondamento delle Repubblica, specie sotto il versante del necessario supporto al contenimento dell’infezione prima e, successivamente, nell’organizzazione territoriale della campagna vaccinale. Tuttavia, a parere di autorevole dottrina, la strada intrapresa dalla Corte apparirebbe sin troppo “drastica” (quanto necessitata), consentendo così allo Stato, nell’ambito della materia “profilassi internazionale”, di «entrare come un bisturi nel burro delle residue competenze regionali» (B. Caravita, p. 4).
Conclusivamente, non può considerarsi esente da criticità la soluzione individuata dalla Corte costituzionale. La riconduzione delle misure emergenziali di contrasto alla diffusione del virus Covid-19 alla materia “profilassi internazionale”, nonostante la dimensione globale della crisi sanitaria e specie se non “direttamente connessa” all’esecuzione di protocolli imposti a livello sovranazionale (è noto come ogni Stato membro abbia posto in essere strategie di contenimento piuttosto diversificate), non appare del tutto convincente. Seppure possa apparire giuridicamente necessario e logicamente ammissibile garantire un’omogeneità nazionale delle misure di contrasto all’emergenza pandemica, la riconduzione della disciplina alla materia “tutela della salute”, di competenza concorrente tra Stato e Regioni, avrebbe potuto assicurare il medesimo risultato, preservando maggiormente la funzione delle Regioni in tempi così gravi. Ad ogni buon conto, la disciplina generale dello Stato avrebbe potuto imporsi su legislazioni regionali divergenti o distoniche da essa, garantendo tuttavia un ruolo non riconducibile alla mera “esecuzione” da parte delle Regioni e valorizzando, al contempo, il principio cooperativo ed il rispetto delle reciproche sfere di competenza, intesi ambedue quali pilastri necessari della relazione tra centro e periferia.