Indipendenza della magistratura e Stato costituzionale di diritto
di Francesco Merloni
Università degli Studi di Perugia
Il drammatico attacco in atto alla magistratura, alla sua indipendenza e alla sua stessa funzione in uno Stato di diritto, richiede, a mio giudizio, una riflessione urgente dei giuspubblicisti. Sono sollecitato non solo dai comportamenti e dagli atti senza precedenti di governo e maggioranza parlamentare (con il consenso di pezzi di opposizione). Ma dall’atteggiamento dei mezzi di comunicazione di massa (il Corriere della Sera che dà per scontata una “guerra di trent’anni”, a partire cioè da Mani pulite, tra “politica e magistratura”) e da posizioni di non pochi giuristi (di recente un pezzo di Pier Luigi Portaluri sul Foglio del 2 febbraio, che sposa la tesi, già sostenuta da Sabino Cassese con “Il governo dei giudici”, della volontà dei magistrati di sostituirsi al potere politico).
Credo sia necessario superare una posizione ricorrente. Che tende sì a segnalare la gravità della violazione di diritti fondamentali da parte di governi illiberali (non più solo Orban e la Polonia di Kaczyński, ma Meloni, Milei, oggi Trump, con grande dispiegamento di mezzi), valorizzando il lavoro di monitoring europeo sullo Stato di diritto; dando, però, per scontato che la magistratura, in fondo, ha qualche responsabilità in ciò che è successo, senza mai interrogarsi su ciò che sta effettivamente accadendo. Registro anche una forte sensibilità e mobilitazione dei costituzionalisti, mentre gli amministrativisti sembrano invece meno consapevoli dei rischi che corriamo.
Per questo parto da alcune considerazioni semplificate, ma nette. Intanto non c’è nessun complotto ordito dalla magistratura nel suo complesso. Convincere 9.000 magistrati ad operare contro governo e Parlamento per sostituirsi ad essi mi sembra impresa ardua. Resa finora impossibile proprio dall’indipendenza della magistratura. Paradossali, poi, le tesi (ancora Cassese), che da un lato segnalano il rischio di una nuova politicizzazione della magistratura, proprio nel momento in cui si è compattamente e unitariamente schierata contro la riforma costituzionale della separazione delle carriere e, dall’altro, sostengono che il corpo della magistratura è in sé sano, ma si fa rappresentare da un manipolo di magistrati politicizzati.
La magistratura italiana ha sempre avuto nel suo complesso posizioni prudenti, se non apertamente moderate. Le correnti di sinistra sono state, per un lunghissimo tempo, fortemente minoritarie. La stessa vituperata degenerazione correntizia dimostra che esistono nella magistratura diversi orientamenti culturali, non facilmente omologabili in un unico progetto o complotto. Le correnti sono state sicuramente utilizzate per interessi non commendevoli, come la promozione di carriere personali, ma non hanno mai prodotto una piegatura dei giudizi ad interessi di parte. Qualcuno potrà segnalare sentenze “orientate”, ma nessuno finora ha registrato né dimostrato un uso sistematico della giustizia per delegittimare gli altri poteri costituzionali. Ci possono essere iniziative giudiziarie o sentenze discutibili, dei veri e propri errori giudiziari, spesso fondati su una non adeguata conoscenza delle regole di funzionamento delle istituzioni (specialmente delle pubbliche amministrazioni); ovvero protagonismi indebiti o usi impropri dei mezzi di comunicazione; ci possono essere sentimenti, da superare, di isolamento dei giudici, che tendono ad identificarsi come l’unico baluardo in un sistema largamente segnato da una diffusa illegalità. Ma parlare di complotto è affermazione da respingere radicalmente.
Vediamo con qualche esempio che cosa è successo. Molte azioni penali sono nate da evidenze raccolte dalla autorità giudiziaria, anche senza particolari accanimenti. In materia di reati contro la pubblica amministrazione, l’ambivalenza delle forze politiche verso la magistratura è stata evidente: dapprima utilizzare le singole iniziative giudiziarie, a scopi di parte contro l’avversario politico o a fini di generale delegittimazione delle istituzioni, salvo poi agire direttamente contro la magistratura e il suo potere di accertamento di reati (la destra berlusconiana va al Governo sulle ceneri della prima repubblica e immediatamente si pone in conflitto con la magistratura). Il caso dell’abolizione dell’abuso d’ufficio, compresa la fattispecie del conflitto di interessi, mi sembra paradigmatico di una generale insofferenza (bipartisan, ahimè) verso controlli indipendenti sull’esercizio del potere. Potremmo fare analoghe considerazioni sull’accoglienza riservata alle decisioni del giudice amministrativo o delle autorità amministrative indipendenti, tutte le volte che accertano, a vario titolo e con diversi effetti, casi di illegittimo esercizio di poteri conferiti dalla legge.
Gli “scontri” con la magistratura in casi collegati con le politiche di immigrazione sono altrettanto significativi. Qui i giudici hanno accertato lesioni di diritti riconosciuti non solo dalla Costituzione e dalle leggi ordinarie, ma da trattati internazionali formati proprio per impedire che singoli Stati li possano violare. Nei casi della nave Open Arms, o dei respingimenti di immigrati nei paesi non sicuri, in applicazione di norme europee, o della consegna alla Corte penale internazionale di persona oggetto di un mandato di cattura internazionale, la magistratura ha operato in realtà con molta cautela e prudenza, ma non ha potuto evitare di agire a tutela di diritti. Di qui un passaggio necessario: non è configurabile un generico “conflitto tra politica e magistratura”; siamo, invece, in presenza di puntuali casi di contrasto tra gli effetti di nuove politiche pubbliche (economiche e sociali, in qualche caso di negazione di diritti fondamentali) e gli ordinamenti giuridici contemporanei vigenti, che si sono formati grazie a Costituzioni avanzate, come quella italiana, che hanno riconosciuto nuovi diritti, rafforzandone la tutela. Di fronte alla volontà di attuare, in virtù di un presunto mandato, di un’investitura del popolo sovrano (anche grazie a piegature maggioritarie della volontà degli elettori che affidano a minoranze, sempre più agguerrite, un peso sproporzionato), politiche apertamente negatrici dei diritti fin qui riconosciuti (le chiamerei col loro nome, politiche reazionarie e antisociali), la risposta normale, ordinaria, che si può attendere da parte di un ordinamento è l’applicazione delle norme esistenti e vigenti, anche interpretate secondo Costituzione. In altre parole, il conflitto di cui parliamo è tra politiche economiche e sociali di destra e Stato costituzionale di diritto. È una “naturale resistenza” dell’ordinamento, e dei giudici che applicano le leggi, a tentativi di distorcere progressivamente il contenuto dei diritti e le forme della loro tutela, verso la quale il governo in carica non può reagire con comportamenti e atti che mirano a limitare l’indipendenza della magistratura.
Una situazione simile si aprirebbe, ad esempio, nel caso di un governo di sinistra che volesse attuare un programma, di nazionalizzazioni e regolazioni/pianificazioni dell’economia, così radicale da produrre negazioni sostanziali del principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata. Anche un simile programma troverebbe nell’ordinamento italiano e nei suoi giudici una naturale resistenza.
È un conflitto destinato ad estendersi nel futuro, se si consolideranno orientamenti politici dai contenuti apertamente anticostituzionali. La novità rispetto al passato è la velocità del mutamento; mentre le politiche espansive dei diritti si sono attuate in tempi lunghi e con un progressivo (e negoziato) cambiamento normativo tra forze politiche diverse, oggi la sterzata che si vuole produrre è repentina e drastica. La liquidazione brutale di intere politiche sociali, di interi apparati pubblici, la pretesa di attuare le proprie politiche senza vincoli e controlli indipendenti, del binomio Trump-Musk negli Stati Uniti è l’esempio trainante e una possibile legittimazione politica per tutte le destre reazionarie in Europa.
Di fronte a questa nuova situazione non c’è solo da difendere, sul piano formale, il baluardo dell’indipendenza della magistratura come primo, insostituibile, fondamento dello Stato costituzionale di diritto. C’è da comprendere e valorizzare, sul piano sostanziale, il ruolo oggettivo, naturale, della magistratura, di tutti i giudici, costituzionali, penali, civili, amministrativi, a tutela dei diritti costituzionali dei cittadini che le politiche ultraliberiste e reazionarie rischiano di pregiudicare.
Guai, però, a confidare nella sola l’azione di “resistenza” dei giudici. Questa ha una sua funzione limitata (spesso a singoli casi) e temporanea (nel lungo periodo si cambiano non solo le leggi ma anche le Costituzioni). La vera risposta sta nella dialettica politica, nel legittimo contrasto e necessario dialogo tra interessi diversi, nella capacità di ipotizzare, proporre e attuare politiche diverse e alternative, che salvaguardino il “felice compromesso” tra libertà economiche e diritti sociali della Costituzione del 1948.