La Corte costituzionale decide sul cognome della madre. Un passo verso la pari dignità dei genitori e la parità di genere
di Eugenia Jona
- La decisione della Corte costituzionale: un’introduzione al tema
Il 27 aprile 2022 la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionali tutte le norme che non permettono ai genitori di poter dare il cognome della madre ai propri figli ritenendo che queste contrastino con il principio di protezione dei diritti fondamentali (art. 2, cost.), con il principio di uguaglianza (art. 3, cost.) e con i vincoli e obblighi provenienti dalle fonti internazionali e da quelle comunitarie (art. 117 c.1, cost.).
L’illegittimità costituzionale riguarda tutti gli articoli che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre ai figli nati nel matrimonio, ai nati fuori dal matrimonio e ai figli adottivi (art. 237 c.c.; art. 262 c.1, c.c.; art. 299, c.3, c.c.; art.72 c.1 del regio decreto n.1239 del 1939; artt. 33 e 34 d.p.r. n.396 del 2000).
Così si apre la possibilità di assumere il cognome che i genitori, di comune accordo, decidono: solo quello della madre, solo quello del padre o entrambi. In mancanza di accordo, sarà il giudice a dover intervenire.
2. Il caso che ha portato alla decisione e la disciplina previgente del cognome dei figli.
A portare agli onori della cronaca la questione è stata l’ordinanza di rimessione del Tribunale di Bolzano. Il giudice doveva decidere sulla modifica di un atto di nascita di una bambina alla quale era stato dato solo il cognome della madre. Era stato infatti l’ufficiale dello stato civile che dopo aver iscritto la bambina alle liste con il cognome della madre, aveva presentato un’istanza alla Procura Regionale di Bolzano perché si procedesse con la modifica – per vie giudiziali – del cognome e le si aggiungesse quello padre, come era stato sottolineato in un caso analogo dalla Corte nel 2016.
Questa sentenza del 2016, in realtà, aveva però stabilito che non si potesse impedire ai genitori di dare entrambi i propri cognomi, ma nulla aveva detto sulla possibilità di dare solo quello della madre. Le opzioni erano quindi due: o doppio cognome, o solo cognome del padre. Secondo il giudice di Bolzano, allora, si era di fronte comunque ad una norma discriminatoria per le madri perché si poteva dare il cognome materno solo se accompagnato da quello paterno. Questa ragione lo ha spinto a sollevare la questione di costituzionalità.
Il giudice di Bolzano ha sostenuto anche che questa disciplina sia in contrasto con alcuni principi: quello di protezione dei diritti fondamentali, “sotto il profilo dell’identità personale”; quello di uguaglianza che deve ispirare, fra tutti, anche i rapporti genitoriali. A questi si aggiunge il rispetto dei vincoli e degli obblighi che derivano dall’ordinamento internazionale e dall’Unione europea. Tali norme della Convenzione dei diritti fondamentali dell’Unione europea che prevedono la “protezione dell’identità personale del figlio” (art. 8) e il divieto di discriminazione (art. 14).
Infatti, anche la Corte Europea dei diritti dell’uomo, nella sentenza Cusan e Fazzo contro Italia del 2014, aveva stabilito che questo meccanismo automatico fosse discriminatorio nei confronti delle donne, in quanto non prevedeva la possibilità del solo cognome della madre. Di conseguenza, la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva affermato la violazione dei principi della CEDU nella parte in cui non è permesso ai genitori, in quel caso, coniugati, di iscrivere allo stato civile il proprio figlio con il cognome della madre.
3. La questione di costituzionalità
La Corte, dopo aver esaminato il caso, amplia il quesito costituzionale ritenendo di dover affrontare, in via pregiudiziale, i profili di compatibilità o incompatibilità costituzionale del meccanismo generale di prevalenza del cognome del padre rispetto al cognome della madre (art. 262 c.1, c.c.).
Infatti, scrive la Corte che se si accogliesse la questione come sollevata dal giudice di Bolzano si avrebbe comunque l’attribuzione del solo cognome del padre in tutte le situazioni in cui l’accordo manchi o non sia stato esplicitamente espresso dai genitori. Così non si risolverebbe il cuore della questione, perché non ci sarebbe parità tra l’attribuzione del cognome di uno dei genitori, ma ancora prevalenza di quello del padre.
Infatti, quest’articolo si riferisce solo all’ipotesi in cui se vi sia consenso dei genitori ad attribuire un solo cognome il figlio assume quello del padre o di entrambi. Se si modificasse questa norma, nei termini prospettati dal giudice di Bolzano, il radicamento della visione patriarcale della struttura della famiglia sarebbe confermato nell’ipotesi in cui invece non vi è accordo fra i genitori.
La Corte motiva così l’ampliamento della questione: “il modo in cui occasionalmente sono poste le questioni incidentali di legittimità costituzionale non può impedire al giudice delle leggi l’esame pieno del sistema nel quale le norme denunciate sono inserite”. Questa è una modalità inusuale sicuramente ma già utilizzata in precedenza in altri giudizi.
4. Una sentenza fondamentale per la pari dignità dei genitori
Sono molto significative le due raccomandazioni che la Corte rivolge al legislatore di fronte alla questione sollevata dal giudice di Bolzano.
Innanzitutto, la Corte spiega che la norma censurata (art. 262 c.1, c.c.) riguarda il momento attributivo del cognome, legato quindi all’acquisizione dello stato di figlio: se il cognome definisce l’identità del figlio, allora deve rispecchiare l’uguaglianza e la pari dignità dei genitori. I legami familiari sono tre, non due, continua la Corte: quello “genitoriale con il padre, identificato da un cognome” che rappresenta “il suo ramo familiare”; quello con la madre e il suo ramo familiare, e quindi definito dal cognome di quest’ultima; e l’ultimo che consiste nella possibilità di dare entrambi i loro cognomi in modo tale da accoglierlo nel nucleo familiare. La prevalenza, quindi, del cognome paterno, come appunto prevede la disciplina censurata, “oscura unilateralmente il rapporto genitoriale con la madre”.
La Corte chiarisce che la nuova disciplina non deve creare situazioni in cui fratelli e sorelle abbiano diversi cognomi. Aggiunge che è necessario ripensare il criterio e “individuare un ordine di attribuzione dei cognomi” in conformità ai principi costituzionali e agli obblighi internazionali che non riproduca la medesima discriminazione. Infatti, prevedere un criterio caratterizzato da un automatismo in cui a venire trasmesso alla fine è sempre il cognome paterno, favorisce comunque una discriminazione.
La Corte sottolinea però che il legislatore, nel modificare la disciplina, deve impedire che si verifichi un “meccanismo moltiplicatore” del cognome nelle generazioni prossime tale da ledere “la funzione identitaria del cognome”.
Il tema non è di certo nuovo per la Corte. Anzi, oltre alle raccomandazioni, i giudici redarguiscono il legislatore di non essere ancora intervenuto nonostante le diverse censure che si sono susseguite negli anni in relazione al meccanismo dell’automatica attribuzione del cognome paterno. Pertanto, nel rispetto del principio di parità di genere, deve essere prevista la possibilità per i genitori di attribuire il cognome che preferiscono – solo materno, solo paterno, entrambi. Soluzione, tra l’altro, che è già presente in altri ordinamenti dell’Unione Europea.
5. Qualche riflessione
Non si può non riconoscere che questa sentenza – come afferma la Corte stessa – comporti un passo avanti perché abbatte un ostacolo alla pari dignità dei genitori e alla parità di genere.
Su questo il femminismo giuridico ha molto riflettuto, proponendo una lettura del diritto attenta alle questioni di genere da un punto di vista teorico, metodico, ideologico e anche linguistico.
Vi sono diverse correnti, alcune più radicali di altre, che ragionano sull’interpretazione femminista del diritto e su come si possa proporre una lettura del diritto orientata non solo ad eliminare le barriere della cultura patriarcale che sono rappresentate, ancora, nelle norme del nostro ordinamento, come nel caso del meccanismo del cognome del padre, ma ad interpretare il diritto secondo un’ottica plurale e inclusiva delle differenze delle persone che lo compongono.
Infatti, il soggetto giuridico a cui le leggi si rivolgono è, sostanzialmente, un soggetto maschile e ciò comporta che le discriminazioni, non solo di fatto, ma anche previste in norme, siano ancora all’ordine del giorno. L’idea è quindi di ripensare le strutture del diritto secondo un’ottica femminile e “per differenza” – una delle correnti del femminismo è il “femminismo per differenza” – in modo tale da creare un sistema attento alle diversità, tutte.
L’impostazione patriarcale della famiglia negli anni è stata smussata dal legislatore e dalle corti, come in questo caso, e si è lentamente avvicinata ad una concezione di parità sostanziale di genere nei rapporti genitoriali. Nonostante vi siano ancora molti retaggi della cultura patriarcale, questi sono destinati ad essere progressivamente eliminati dal sistema, se, passo dopo passo, si continueranno a sollevare questioni di legittimità costituzionali, sul tenore di questo giudizio.
Concludendo con le parole della Corte “unità ed uguaglianza non possono coesistere se una nega l’altra, se l’unità opera come limite che offre un velo di apparente legittimazione a sacrifici imposti in una direzione solo unilaterale. A fronte dell’evoluzione dell’ordinamento, il lascito di una visione discriminatoria, che attraverso il cognome si riverbera sull’identità di ciascuno, non è più tollerabile”.