La Corte di Giustizia UE e il Sahara occidentale, tra “popolazione”, “popolo” e pomodori
di Federico Petrangeli
Consigliere parlamentare presso il Senato della Repubblica
1. Con tre diverse sentenze, pubblicate lo scorso 4 ottobre, la Corte di Giustizia torna sull’annosa questione degli accordi commerciali tra Unione europea e Marocco, per quanto riguarda la loro applicabilità al Sahara occidentale. Il tema è assai delicato, perché, più che altrove, la politica commerciale (di competenza esclusiva UE) sconfina nella politica estera (di competenza prevalente degli Stati), incrociando il diritto internazionale.
L’Assemblea generale dell’Onu ha infatti più volte riaffermato il “diritto inalienabile” all’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale, così come ha fatto la Corte internazionale di Giustizia. Con la fine della presenza spagnola e il ritiro della Mauritania, il Sahara occidentale – come noto – è stato in gran parte occupato dal Marocco. L’occupazione, che dura tuttora, e il conflitto armato con il Fronte Polisario hanno causato l’esodo di gran parte della popolazione civile, fuggita in gran parte nei campi profughi in Algeria. All’inizio degli anni ’90 le due Parti hanno concordato un cessate il fuoco, in previsione dello svolgimento di un referendum, che però, nonostante l’istituzione di un’apposita missione ONU (Minurso) non si è mai tenuto, anche per la mancanza di accordo su chi avesse diritto al voto. Le ostilità tra Fronte Polisario e forze armate marocchine sono riprese, seppure a bassa intensità, nel 2020.
2. Le vicende processuali concluse con le decisioni in esame sono abbastanza intricate, e si cercherà qui di riassumerle il più possibile. Nell’ambito del loro accordo di associazione, UE e Marocco hanno concluso una serie di accordi settoriali, tra cui uno sulla pesca sostenibile (nel 2006) e uno sulla liberalizzazione dei prodotti agricoli e della pesca (nel 2012). Pur riguardando formalmente il “territorio del Regno del Marocco”, entrambi gli accordi sono stati applicati dalle due Parti anche al territorio del Sahara occidentale (e alle acque adiacenti le sue coste). Tale estensione è stata ritenuta illegittima dalla Corte di Giustizia tra il 2016 (in riferimento all’accordo sulla liberalizzazione, sentenza C-104/16), e il 2018 (per l’accordo sulla pesca, sentenza C-266/16), perché, ai sensi dell’art.73 della Carta Onu, il Sahara occidentale è un “territorio non autonomo”, che gode di uno “statuto separato e distinto” da quello di ogni altro Stato e comunque non rientra nel territorio del Marocco.
A seguito di queste sentenze, le due Parti hanno stipulato nuovi accordi, sia in tema di liberalizzazione commerciale (approvato dal Consiglio con decisione del 28 gennaio 2019), sia in materia di pesca (decisione del 4 marzo 2019), che stavolta si applicano espressamente al territorio del Sahara occidentale e alle acque adiacenti le sue coste (precisamente, alle “acque dell’Atlantico centro orientale situate tra i paralleli 35°47’18’’ nord e 20°46’13’’). I considerando delle due decisioni (che qui per brevità si citano congiuntamente) espongono le ragioni di questo ampliamento, tradendo però un tentativo abbastanza maldestro di aggirare la giurisprudenza della Corte. In premessa il Consiglio ribadisce il proprio impegno a favore di una soluzione concordata della controversia sul Sahara occidentale e sottolinea che gli accordi non implicano il riconoscimento della sovranità del Marocco. Ma ritiene pure che “dovrebbe essere possibile per le flotte dell’Unione proseguire le attività di pesca esercitate dall’entrata in vigore dell’accordo [del 2006]” (quello annullato dalla Corte) e che il Sahara occidentale trarrà grande beneficio da questo nuovo accordo, per “la ricaduta socioeconomica positiva che esso comporta … specialmente in termini di occupazione e investimenti”. L’accordo sulla liberalizzazione commerciale, d’altra parte, è considerato dal Consiglio come “l’unico mezzo” per assicurare che i prodotti del Sahara occidentale beneficino di un accesso preferenziale al mercato UE, “perché le autorità marocchine sono le sole a poter assicurare il rispetto delle regole” che garantiscono tale accesso. In entrambi i casi, inoltre, la Commissione, ha adottato “tutte le misure ragionevoli e possibili nel contesto attuale per garantire un adeguato coinvolgimento del popolo interessato al fine di accertarne il consenso”, conducendo “ampie consultazioni” nel Sahara occidentale e in Marocco [corsivi aggiunti].
3. I due accordi sono già stati giudicati illegittimi in primo grado con una decisione del 21 settembre 2021 (T-279/19). Con due delle sentenze del 4 ottobre (C-779/21 e 799/21 P ; C-778/21 P e C-798/21 P) la Corte conferma la propria posizione, rigettando i ricorsi di Commissione e Consiglio, supportati per l’occasione da alcuni Stati membri (Francia, Spagna, Belgio, Ungheria e Portogallo). La Corte si muove nel solco della propria giurisprudenza sul tema, ma con alcune importanti precisazioni, Intanto, come sostenuto già in precedenza, la Corte sottolinea che, ai sensi del diritto internazionale “il popolo del Sahara occidentale” deve essere considerato come “terzo” rispetto ad un accordo tra Bruxelles e Rabat, che potrebbe dunque applicarsi ad esso solo in caso di suo “consenso”. Il diritto internazionale (consuetudinario) non richiede che il consenso sia espresso in una particolare forma, ma per poterlo considerare implicito servono due condizioni: l’accordo “non deve creare obblighi a carico del suddetto popolo”, e quest’ultimo deve riceverne un “vantaggio preciso, concreto, sostanziale e verificabile”. Nell’accordo sulla pesca – scrive la Corte – la prima condizione è soddisfatta, ma non la seconda: la zona di pesca definita dall’accordo è infatti unica (senza distinzione tra le acque adiacenti il Marocco e quelle adiacenti il Sahara occidentale) e dunque non è possibile alcuna ripartizione dei benefici economici che ne derivano. Lo stesso vale per le preferenze tariffarie.
Inoltre – è questa è forse la parte più interessante della decisione – l’eventuale consenso non può essere espresso dalla “popolazione attuale” di quel territorio, perché questa, in maggioranza, non fa parte “del popolo titolare del diritto all’autodeterminazione, cioè il popolo del Sahara occidentale” [corsivi aggiunti], che in gran parte – ricorda la Corte – è stato costretto alla fuga. La “popolazione” – scrive la Corte – si riferisce “agli abitanti di un territorio”, mentre il “popolo” è “l’unità politica che detiene” quel diritto, che è uno dei “principi essenziali” del diritto internazionale, è “legalmente applicabile erga omnes” e come tale vincolante nelle relazioni esterne UE. Le consultazioni condotte dalla Commissione, dunque, non consentono di considerare acquisito il consenso del “popolo” saharaoui, anche perché non hanno convolto il Fronte Polisario.
C’è poi la questione del rilievo del diritto internazionale. La Corte ribadisce che il suo controllo di legalità riguarda il diritto internazionale nel suo complesso (sia quello pattizio sia quello e consuetudinario), non può limitarsi agli “errori manifesti” nella sua applicazione (come sostenuto da Commissione e Consiglio), e deve riguardare anche il contenuto dell’accordo stipulato dall’UE.
Per quanto riguarda infine la posizione del Fronte Polisario, questo, pur non essendo il “rappresentante esclusivo” del popolo saharaoui, (e pur non avendo personalità giuridica in alcun Paese membro), è uno degli “interlocutori privilegiati” dell’Onu sulla questione, e ha “sufficiente esistenza giuridica” per ricorrere contro i provvedimenti UE che si riferiscono a quel territorio. Si può aggiungere, per completezza, che, per “evitare le serie conseguenze negative” per l’azione esterna dell’Unione e assicurare la “certezza” degli impegni internazionali da essa assunti, la Corte decide di mantenere in vigore l’accordo di liberalizzazione per 12 mesi (mentre il protocollo di applicazione dell’accordo sulla pesca era scaduto nelle more del processo, provocando già da diversi mesi la sospensione dell’attività dei pescherecci UE).
La terza sentenza citata (C-399/22) risponde a una domanda pregiudiziale sull’interpretazione delle norme UE in materia di etichettatura dei prodotti alimentari. La Corte stabilisce che i prodotti agricoli coltivati nel Sahara occidentale (che sono in particolare meloni e, appunto, pomodori) non possono essere commercializzati nell’UE come prodotti marocchini, ma devono avere un’etichetta che chiarisca la loro provenienza dai territori saharaoui.
4. Lo stesso 4 ottobre, appena dopo la pubblicazione delle sentenze in esame, la Presidente della Commissione e l’Alto rappresentante, in un comunicato congiunto, hanno riaffermato che “in stretta cooperazione con il Marocco, l’UE intende fermamente preservare e continuare a rafforzare le strette relazioni con il Marocco in tutti i settori… in linea con il principio pacta sunt servanda”. C’è da immaginare che von der Leyen e Borrell diano per scontato che i pacta siano servanda nei limiti in cui non contrastano col diritto internazionale. C’è però anche un profilo sostanziale che non può sfuggire. Si può legittimamente pensare che gli accordi commerciali UE-Marocco, dal punto di vista economico, favoriscano tutti gli attori in gioco, compresi i pescatori e i consumatori europei. Si potrebbe pensare che favoriscano anche la popolazione del Sahara occidentale. In più, essi sicuramente rafforzano il legame politico tra Bruxelles e Rabat, che è sicuramente un bene prezioso, soprattutto in un quadro geopolitico complicato come attuale, con tante potenze ostili pronte a riempire ogni “vuoto” d’influenza, soprattutto in Africa. I margini di discrezionalità delle istituzioni UE, però, sono delimitati dal rispetto del diritto internazionale. Desta quindi stupore che Commissione e Consiglio pensassero che la Corte potesse mutare il proprio orientamento sulla questione, senza cambiamenti di fatto e di diritto nel terreno (ad esempio una ripresa dei negoziati tra Marocco e Fronte Polisario). Il Trattato UE (art 7) stabilisce che “nelle relazioni con il resto del mondo” l’Unione contribuisce “alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite”. Questo vincolo, a volte – soprattutto al giorno d’oggi – può sembrare un fardello. Il rispetto dello Stato di diritto (anche di quello internazionale) è però una delle caratteristiche distintive dell’Unione nel mondo, e una delle ragioni dell’attrattività che, nonostante tutto, questa organizzazione continua ad avere al di fuori dei suoi confini (e di cui noi stessi europei spesso ci stupiamo). Sarebbe stato forse più lungimirante, per Commissione e Consiglio, usare la posizione della Corte come una “leva” nella trattativa con Rabat e cercare di sbloccare l’impasse diplomatico nel Sahara occidentale, facendo magari il gioco del poliziotto buono e del poliziotto cattino (la Corte). Un’impresa non certo facile, ma non per questo meno necessaria. E, soprattutto, ancora possibile, ora che si aprirà un nuovo round negoziale.
Commenti