La pandemia è la fine delle autonomie regionali?
i Gianmario Demuro
da La Nuova Sardegna del 27 aprile 2021
Quando finirà la pandemia a chi sarà attribuita la competenza in materia di tutela della salute? Questo è un punto centrale nel dibattito di molti opinionisti sui giornali, nelle trasmissioni televisive, nelle discussioni pubbliche perché, si dice, le regioni che avrebbero dovuto fare di più e meglio dello Stato non si sarebbero dimostrate all’altezza del compito ad esse affidato. Colpisce in particolar modo la retorica contro il regionalismo, portatore di diseguaglianze, fomentatore di caos, di spreco di risorse collettive. E le regioni spesso non aiutano a presentare una immagine meno negativa, vaccinazioni in ritardo, minacce di chiusura dei “confini”, riaperture incostituzionali, bizzarrie territoriali. In sintesi, la tempesta perfetta per chi ritiene che a prendere le decisioni e a garantire l’eguaglianza di tutti debba essere un solo soggetto, lo Stato, che tutto può, vede e provvede. Questo è uno degli effetti della pandemia: mettere alla prova i sistemi che erogano i servizi alle persone e, verificato il loro cattivo funzionamento, decretare che la soluzione è quella di riportare al centro tutti i poteri di erogazione del servizio stesso.
La pandemia globale ha avuto un impatto anche sull’architrave del costituzionalismo occidentale. Il primo è avvenuto sulla capacità di regolare la complessità nell’emergenza in assenza di una previa definizione completa delle regole sulla regolazione di tale emergenza. Non è, infatti, costruita per l’emergenza l’architettura costituzionale che prevede tempi di verifica dell’azione democratica pensati rispetto a cicli di discussione parlamentare. Non è costruita per affrontare l’emergenza e il complesso sistema delle fonti che parte da un decreto-legge, si sviluppa in un Dpcm e affida ad ordinanze regionali e locali la differenziazione territoriale. La democrazia, infatti, innervata dal principio di eguaglianza deve poter dare regole per tutti sul territorio nazionale ma, nel contempo, deve poter garantire una ragionevole differenziazione territoriale. In assenza di regolazione preventiva il rischio di contrapposizione tra lo Stato e le Regioni era altissimo e abbiamo assistito alla impossibilità per i cittadini di incidere sulle scelte e verificarne la correttezza democratica.
La sovranità dello Stato non è certamente in discussione, come non è in discussione che tutti i cittadini abbiano diritto ad un trattamento eguale nell’erogazione dei servizi ma siamo sicuri che soluzione sia riformare la Costituzione per riportare al centro tutti i poteri? Siamo sicuri che la soluzione sia affidare la tutela della salute in modo capillare al Ministero della salute? Se vogliamo ritrovare un maggior controllo delle scelte in materia di sanità abbiamo bisogno di più democrazia regionale come sintesi tra erogazione dei servizi e verifica democratica. Le regioni, infatti possono essere considerate come mero ente di governo amministrativo a cui spetta la distribuzione territoriale dei servizi che lo Stato deve erogare in ogni parte della Repubblica. Secondo un’altra ricostruzione le Regioni però sono espressione di comunità politiche di democrazia diffusa sul territorio. Queste due radici delle regioni hanno da sempre convissuto ma oggi si sottolineano soprattutto le inefficienze senza tener conto del fatto che i due profili, quello amministrativo e quello politico, debbono convivere perché senza il giudizio da parte dei cittadini nel luogo in cui sono erogati i servizi non vi sarà possibilità di migliorarli.