La prima applicazione degli artt. 9 e 41 Cost. riformati: il peso della scrittura

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di Alessia-Ottavia Cozzi

Con la sentenza n. 105 del 13 giugno 2024 la Corte costituzionale ha dato per la prima volta applicazione agli artt. 9 e 41 Cost. come modificati dalla legge cost. n. 1 del 2022. La riforma ha introdotto un nuovo terzo comma nell’art. 9 Cost., dedicato ad ambiente, biodiversità, ecosistemi e tutela degli animali, e ha reso l’ambiente limite esplicito all’iniziativa economica privata, insieme alla salute, nell’art. 41, c. 2, e fine qualificato dell’indirizzo e coordinamento dell’attività economica pubblica e privata, accanto ai fini sociali, nell’art. 41, c. 3. Per inciso, a differenza delle attuali proposte di revisione costituzionale, la riforma è stata il risultato di un favor pressoché unanime nelle aule parlamentari.

Il caso da cui origina la sentenza attiene al polo petrolchimico siracusano, steso tra i comuni di Siracusa, Priolo, Melilli e Augusta. Per contestualizzare, si tratta del più grande polo del Sud Europa, con una capacità di produzione di greggio per circa un terzo del fabbisogno nazionale. Il caso riprende alcuni tratti dei precedenti legati all’Ilva di Taranto, su cui la Corte costituzionale si era pronunciata con le sentenze n. 85 del 2013 e n. 58 del 2018. Simile è la condizione di grave compromissione ambientale. Simile l’intervento di un provvedimento giudiziale di sequestro preventivo, nel caso “Priolo” degli impianti di depurazione ad uso dei grandi utenti industriali. Simile è il meccanismo adottato dal Governo per consentire la prosecuzione dell’attività produttiva, dato dalla combinazione tra un decreto-legge, poi convertito, e un atto amministrativo. Nella specie, a causa della crisi energetica, il cosiddetto “decreto Priolo” (d.l. n. 2 del 2023, conv. in l. n. 17 del 2023), è intervenuto sulle Norme di attuazione del codice di procedura penale, art. 104 bis, comma 1 bis, disponendo che il giudice del sequestro autorizzi la continuazione dell’attività quando, nell’ambito del procedimento di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale dell’impianto, siano adottate misure di bilanciamento tra le esigenze produttive, occupazionali, di tutela della sicurezza sul luogo di lavoro, della salute e dell’ambiente.

Le differenze con i precedenti Ilva sono, però, significative. Quanto al parametro, nella sentenza n. 85 del 2013 la Corte era stata investita di profili attinenti alla separazione dei poteri e all’esercizio dell’azione penale (artt. 102, 103, 104, 107, 111 Cost.; artt. 25, 27 e 112 Cost.), dunque della linea di confine tra leggi-provvedimento che qualificano direttamente un impianto come di interesse strategico nazionale, affidando all’amministrazione la ponderazione tra interessi, e provvedimenti cautelari già assunti, tanto che la questione di legittimità costituzionale era parsa sottintendere lo schema tipico del conflitto tra poteri. Questi profili non sono presenti nell’attuale caso “Priolo”, in cui il GIP di Siracusa lamentava la violazione soltanto degli artt. 2, 9, 32 e 41, c. 2, Cost.

Proprio l’intervenuta modifica degli artt. 9 e 41 Cost. costituisce una seconda differenza, che la Corte valorizza particolarmente. La sentenza n. 105 del 2024 offre cinque indicazioni “di sistema” sulla nuova formulazione delle disposizioni costituzionali. Innanzitutto, si conferma che l’ambiente è un «bene unitario», mentre biodiversità ed ecosistemi ne sono specifiche declinazioni – ove parte della dottrina aveva criticamente osservato che potessero essere beni distinti, in quanto tutti nominati nel nuovo art. 9, c. 3, Cost. In secondo luogo, il significato delle modifiche intervenute è letto in termini di autonomia: il «mandato di tutela dell’ambiente» è «riconosciuto in via autonoma rispetto al paesaggio e alla salute umana, per quanto ad essi naturalmente connesso». Autonomo, inoltre, è il limite, ora esplicito, alla libertà di iniziativa economica nell’art. 41, c. 2, Cost. Sia la salute, che l’ambiente erano già stati ricavati dalla giurisprudenza costituzionale come limiti all’iniziativa economica privata attraverso la nozione di utilità sociale, ma ora l’ambiente vede sciogliersi il legame genetico originario con la salute e ad essa esplicitamente si affianca. In terzo luogo, la «riforma del 2022» contempla un obbligo positivo di azione: il mandato di tutela dell’ambiente «vincola così, esplicitamente, tutte le pubbliche autorità ad attivarsi in vista della sua efficace difesa», sottintendendo che questo obbligo positivo è trasversale agli artt. 9 e 41, cc. 2 e 3, Cost., legati da un comune filo conduttore. In quarto luogo, in linea con affermazioni già presenti nella giurisprudenza costituzionale, è valorizzata la prospettiva, «oggi indicata dal legislatore costituzionale», degli interessi delle generazioni future, «persone ancora non venute in esistenza, ma nei cui confronti le generazioni attuali hanno un preciso dovere di preservare le condizioni perché esse pure possano godere di un patrimonio ambientale il più possibile integro, e le cui varie matrici restino caratterizzate dalla ricchezza e diversità che lo connotano». In quinto luogo, le «chiare indicazioni del legislatore costituzionale» sono «lette anche attraverso il prisma degli obblighi europei e internazionali in materia». Già prima della revisione costituzionale, gli obiettivi, principi e criteri in materia ambientale enunciati dalle fonti primarie dell’Unione, artt. 3 TUE, 11 e 191 TFUE, erano vincolanti per tutti i soggetti del nostro ordinamento, compreso il legislatore, ma ha certamente rilievo l’apertura generale ad una lettura integrata, e non oppositiva, dei contenuti costituzionali ed europei. Quanto agli obblighi internazionali, ad un solo mese dalla pubblicazione, la Corte costituzionale richiama la sentenza C.edu, Grande Camera, 9 aprile 2024, Verein KlimaSeniorinnen Schweiz et. a. Svizzera, in merito alla necessaria pubblicità e partecipazione dei cittadini ai procedimenti ambientali, ai sensi della Convenzione di Aarhus del 1998, sintomo della attenzione tra Corti anche in materia ambientale. Si ricordi, per completezza, che con la sentenza Cordella del 24 giugno 2019, la C.edu aveva condannato l’Italia nel caso Ilva per l’ineffettività in concreto, a distanza di anni, delle misure che la Corte costituzionale aveva ritenuto in astratto costituzionalmente compatibili. Queste, in sintesi, le prime indicazioni interpretative relative agli artt. 9 e 41 Cost. riformati.

Venendo all’esito del giudizio, la sentenza n. 85 del 2013 si era chiusa con una pronuncia di infondatezza perché, nello schema “legge più provvedimento amministrativo”, la continuazione dell’attività di impresa era prevista per un massimo di 36 mesi e condizionata alle prescrizioni impartite in sede di riesame dell’AIA, quale «nuovo punto di equilibrio» per il bilanciamento di interessi. Nella sentenza n. 58 del 2018, invece, lo schema “legge più atto” era stato ritenuto incostituzionale perché, in seguito al sequestro di un altoforno per un incidente mortale, la continuazione dell’attività di impresa era condizionata ad un piano di sola iniziativa privata, non sottoposto alle autorità pubbliche e privo di richiami alle norme sulle sicurezza sul lavoro, lasciando «sfornito l’ordinamento di qualsiasi concreta ed effettiva possibilità di reazione per le violazioni che si dovessero perpetrare durante la prosecuzione dell’attività». Oggi, la sentenza n. 105 del 2024 si conclude con la dichiarazione di incostituzionalità della Norma di attuazione del c.p.p. impugnata, «nella parte in cui non prevede» un termine massimo di 36 mesi per l’applicazione delle misure in deroga, limite che la Corte estrapola dall’art. 1 del decreto “Ilva”, cui la stessa norma impugnata rinvia.

La mancanza di un termine, tuttavia, costituisce la punta dell’iceberg di una incostituzionalità più estesa, colmata direttamente dalla Corte costituzionale con gli strumenti dell’interpretazione conforme. Il punto è che il decreto “Priolo” non vincola la continuazione dell’attività d’impresa alle prescrizioni AIA. Le misure di bilanciamento sono contenute in un decreto interministeriale adottato senza il coinvolgimento degli altri livelli di governo, con un contributo tecnico ridotto al solo «sentito» l’ISPRA e senza forme di pubblicità e di partecipazione. Manca, dunque, la qualità procedimentale dell’AIA, condizione per la simultanea applicazione dei principi di prevenzione, precauzione, correzione alla fonte, informazione e pubblicità «che caratterizzano l’intero sistema normativo ambientale». La Corte colma questa assenza di garanzie attingendo ai principi generali sul procedimento amministrativo: controllo giurisdizionale, adeguata istruttoria, congrua motivazione ai sensi dell’art. 3 l. n. 241/1990, costante monitoraggio delle «autorità competenti ai sensi della legislazione ambientale in vigore», monitoraggio su cui la sentenza n. 85 del 2013 aveva particolarmente insistito, in quanto comprende l’eventuale revoca del provvedimento autorizzatorio e potenziali sanzioni amministrative e penali. Il termine di 36 mesi oggetto dell’addizione, dunque, è funzionale a “piegare” le misure straordinarie adottate dal Governo verso gli strumenti ordinari, ossia a «portare a compimento gli indispensabili interventi di risanamento ambientale e riattivare gli ordinari meccanismi procedimentali» previsti dal Codice dell’ambiente, in particolare il riesame delle AIA esistenti. Se così non fosse, conclude la Corte, il decreto “Priolo” configurerebbe «un sistema di tutela dell’ambiente parallelo a quello ordinario», generico nei contorni e inidoneo ad assicurare che, a regime, l’attività di impresa si svolga senza recare pregiudizio alla salute e all’ambiente.

Può dirsi che, rispetto ai precedenti Ilva, la modifica del parametro costituzionale sia stata determinante per l’esito del giudizio? In parte sì, in parte no. In parte sì, perché l’incostituzionalità dipende essenzialmente dall’art. 41, c. 2, Cost., per cui «nessuna misura potrebbe legittimamente autorizzare un’azienda a continuare a svolgere stabilmente la propria attività in contrasto con tale divieto», il divieto di recare danno, oggi, alla salute e all’ambiente. Le misure, necessariamente temporanee, cui è condizionata l’attività produttiva devono avere un fine che non è costituzionalmente eludibile, ossia «dovranno tendere a realizzare un rapido risanamento della situazione di compromissione ambientale o di potenziale pregiudizio alla salute determinata dall’attività delle aziende sequestrate. E non già, invece, a consentirne indefinitamente la prosecuzione attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di tali beni». Il vincolo positivo al legislatore è nitido. Da questo punto di vista, la scrittura ha certamente pesato.

La modifica del parametro costituzionale, tuttavia, non porta con sé una radicale novità rispetto ai precedenti. Lo schema “legge più provvedimento amministrativo” del decreto “Priolo” ha, come si è tentato di sintetizzare, meno garanzie rispetto al precedente decreto “Ilva”, sicché, a parametro costituzionale invariato, poteva prospettarsi la sua incostituzionalità. Inoltre, il contenuto del vincolo costituzionale non muta nelle linee fondamentali: l’obbligo per il legislatore è di affidare il bilanciamento in concreto dei beni/interessi in gioco all’amministrazione entro una precisa architettura procedimentale, di matrice europea e già presente nell’ordinamento. Le garanzie procedimentali ordinarie sono il veicolo per l’accettabilità dell’equilibrio sostanziale.

Alcune considerazioni finali. Della sentenza n. 85 del 2013 era nota, ben oltre il caso di specie, l’affermazione per cui nessun diritto fondamentale ha la prevalenza assoluta sugli altri, in un’ottica di tutela sistemica e non frazionata, pena «l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute», espressione «nel loro insieme, della dignità della persona». La qualificazione dell’ambiente e della salute come «valori primari» non implica «una “rigida” gerarchia tra diritti fondamentali», richiedendo la Costituzione italiana, come le altre Costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali. All’epoca, aveva colpito il fatto che i diritti e principi considerati fossero solo «la salute (art. 32 Cost.), da cui deriva il diritto all’ambiente salubre» e «il lavoro (art. 4 Cost.), da cui deriva l’interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali ed il dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso». Restava fuori l’iniziativa economica privata. L’art. 41, c. 2, Cost. era ricomparso, invece, nella sentenza n. 58 del 2018, come motore dell’incostituzionalità. Oggi l’art. 41 Cost., inteso da alcuni, anche in senso critico, come un relitto storico, appare vivo e vegeto, per lo meno nel suo secondo comma, e dimostra piena potenzialità applicativa in un quadro costituzionale unitario, che lega la Parte I della Costituzione ai Principi fondamentali. Vi è un ultimo profilo di interesse. In quanto norma di apertura della cosiddetta Costituzione economica, l’art. 41 Cost. è stato sollecitato più di altri dall’impatto dei principi europei di concorrenza e libero accesso al mercato. Non è improbabile che l’interpretazione della disposizione, accanto alla novità della scrittura, risenta del maggior peso assegnato all’ambiente nel contesto internazionale ed europeo degli ultimi anni. Si dice questo nella consapevolezza che, dopo le elezioni europee del 9-10 giugno 2024, è in dubbio la permanenza del Green Deal così com’era tra le priorità delle istituzioni europee. In questo contesto, l’art. 41 Cost. continua a costituire un filo privilegiato del legame tra ordinamento interno ed europeo e la sua interpretazione costituisce un test sulla linearità o vischiosità delle rispettive interazioni. La pretesa di una qualità procedimentale orientata alla tutela dell’ambiente e della salute, di matrice europea, che l’art. 41, c. 2, Cost. fa propria, rende, almeno in questo settore, questo legame molto forte.

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