L’allargamento dell’Unione: riflessioni minime sui più recenti sviluppi

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di Francesco Munari

I. Col suo recente intervento in tema di vicinato (Statement by President von der Leyen on the 2023 Enlargement Package and the new Growth Plan for the Western Balkans), la Presidente della Commissione ha riattivato l’attenzione sull’allargamento dell’Unione europea, di cui si discute proprio in questi giorni in seno al Consiglio Europeo. In realtà, specie da quando l’Ucraina è stata aggredita dalla Russia, il tema dell’allargamento si è spostato dalla dimensione “riservata” delle iniziative di vicinato a quella “pubblica”. Può quindi apparire utile sviluppare alcune osservazioni.

La politica di allargamento discende dall’art. 49, secondo cui «[o]gni Stato europeo che rispetti i valori di cui all’articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell’Unione». La storia dell’integrazione europea annovera 7 tappe di allargamento, e attualmente sono 8 gli Stati coi quali è in corso il processo di allargamento.

L’adesione all’UE impone ai candidati una lunga fase di riforme, funzionali a consentire il raggiungimento delle cd. condizioni di Copenaghen, che sono politiche (rispetto dei valori UE), economiche (un’economia di mercato funzionante) e amministrativo/istituzionale (recepimento del cd. acquis e capacità di adempiervi conformemente al principio di leale cooperazione).

Tuttavia, questa volta il tema dell’allargamento si deve confrontare con problemi inediti.

II. Il primo di essi riguarda la tenuta dei valori europei interni dell’Unione rispetto all’ingresso di nuovi membri: a partire dalla fine dello scorso decennio le istituzioni europee hanno accertato ripetute violazioni dei valori di cui all’art. 2 TUE (segnatamente, lo Stato di diritto) ad opera di alcuni Stati di più “recente” adesione. Il legislatore unionale ha così introdotto requisiti di condizionalità rispetto alla salvaguardia dello Stato di diritto all’interno di ciascuno Stato membro quale presupposto per ricevere risorse dal bilancio dell’Unione (cfr. il dispositivo di ripresa e resilienza (EUR-Lex – 02021R0241-20230301 – IT – EUR-Lex (europa.eu)). E la Corte di Giustizia ha legittimato tale condizionalità nelle sentenze Ungheria c. Parlamento e Consiglio (CURIA – Documents (europa.eu)) e Polonia c. Parlamento e Consiglio, CURIA – Documents (europa.eu)).

Ciò tuttavia evidenzia che il raggiungimento degli standard di Copenaghen non è un processo irreversibile, e porta a chiederci se l’allargamento a favore di Stati non aventi un track record significativo rispetto ai suddetti standard rischi un ampliamento dei problemi poc’anzi accennati.

Al fine di ridurre nella massima misura possibile tali evenienze, si è ritenuto di irrobustire la procedura di adesione (Politica di allargamento dell’UE – Consilium (europa.eu)). Così, seguendo format ormai sperimentati, si è rivista la metodologia di allargamento, rendendo il processo di adesione «più prevedibile, più credibile, più dinamico e soggetto a una guida politica più forte, sulla base di criteri oggettivi, di condizioni positive e negative rigorose e della reversibilità». In altri termini, durante l’intera fase di adesione la Commissione verifica costantemente sia che le riforme richieste allo Stato candidato siano poste in essere, sia che non vi siano modifiche o regressioni anche rispetto a riforme già attuate e, ove questo dovesse essere accertato, l’intero processo di adesione venga arrestato. L’obiettivo (politico) di questi irrobustimenti del processo è evidente, e così la loro capacità di deterrenza rispetto a qualunque ipotesi di backsliding rispetto ai valori dell’Unione.

III. Il secondo profilo concerne la sostenibilità dell’ingresso di nuovi membri per l’Unione. La questione si collega alla necessità che, per effetto dell’allargamento, l’Unione nel suo complesso non sia più fragile rispetto ai propri valori e, in definitiva ai criteri di Copenaghen.

Al riguardo, è inevitabile confrontarsi col principio di non regressione rispetto agli standard dello Stato di diritto affermati dalla Corte di Giustizia nel caso Repubblika (CURIA – Documents (europa.eu)): tale pronuncia potrebbe assumere anche un connotato giuridico e collegarsi alla necessità di verificare preventivamente se, in un contesto di Stati più numerosi, l’attuale governance dell’Unione consenta di prevenire il rischio di regressione. Infatti, non parrebbe soddisfacente immaginare che la sommatoria di nuovi Stati compliant rispetto ai criteri di Copenaghen sia per definizione idonea a evitare rischi di complessivo indebolimento dello Stato di diritto: ad esempio, rispetto alla cd. opzione nucleare di cui all’art. 7 TUE, il voto congiunto di Ungheria e Polonia ha impedito al Consiglio europeo di constatare «l’esistenza di una violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei valori di cui all’articolo 2», e così l’adozione delle misure previste al par. 3, come la sospensione del diritto di voto in seno al Consiglio.

Ora, sono chiari i limiti di un ragionamento di natura giuridica su una scelta di allargamento. Tuttavia, il presupposto della non regressione può rafforzare l’eventuale diniego di uno Stato membro a dare il proprio assenso a un accordo di allargamento, per cui è richiesta l’unanimità e il rispetto delle procedure costituzionali dei 27.

IV. L’ingresso di nuovi membri nell’Unione presuppone anche la preventiva verifica dell’esistenza di una cd. capacità di assorbimento dei medesimi. Il tema si declina sotto due profili: il primo, di natura economica, concerne l’impatto sul bilancio dell’Unione scaturente dall’ingresso di un nuovo membro, soprattutto considerando che i nuovi entranti hanno un PIL inferiore alla media UE, quindi diventano beneficiari netti di risorse unionali, con conseguente riparametrazione di tutti i saldi degli Stati membri (v. Emerson, The Potential Impact of Ukrainian Accession on the EU’s Budget – and the Importance of Control Valves – ICDS). Il secondo profilo riguarda invece la governance europea (Blockmans The impact of Ukrainian membership on the EU’s institutions and internal balance of power – CEPS). Sotto entrambi i profili, l’attuale momento storico presenta criticità che possono incidere sulla capacità di assorbimento.

V. Guardando infatti al tema del bilancio, da troppo tempo gli Stati membri discutono l’ammontare delle risorse proprie dell’Unione, specie in funzione di consentire una più efficace attuazione delle politiche unionali. Non è certo questa la sede per trattare dell’argomento, ma basti pensare agli sforzi fatti per poter disporre di risorse ad hoc quale risposta unionale al COVID (v. Costamagna-Goldmann, Constitutional Innovation, Democratic Stagnation? – Verfassungsblog), e alla stessa dotazione che in definitiva fu consentita per il Next-Gen EU, tra (leggero) aumento del bilancio e inedita ricerca di risorse aggiuntive direttamente sui mercati dei capitali. E se certamente va salutato come un avanzamento decisivo nella “politica economica” della UE la decisione di indebitarla proprio per reperire le risorse NGEU, si tratta di stanziamenti incomparabilmente inferiori rispetto a quelli che sono stati messi in campo da altri e sono comunque inadeguati a finanziare gli obiettivi ambiziosi dell’Unione sul cambiamento climatico, la transizione energetica e digitale: il paragone con le dotazioni dell’Inflation Reduction Act è, al riguardo, emblematico.

Tra l’altro, le difficoltà di un ampliamento del bilancio UE scontano limiti costituzionali che continuano a essere rimarcati in Paesi membri fondamentali come la Germania: il Bundesverfassungsgericht ha appena bocciato il bilancio federale del 2021 per violazione di norme costituzionali interne sulla disciplina di bilancio Bundesverfassungsgericht – Press – Second Supplementary Budget Act 2021 is void; rendendo ancor più difficile l’adozione di riforme UE nella .

Così, ad esempio, rebus sic stantibus non sembra sostenibile l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione, poiché le spese necessarie alla ricostruzione del Paese dopo la guerra con la Russia, delle quali (anche) la UE dovrebbe farsi carico, appaiono immani e inedite per dimensioni rispetto al passato e alle dotazioni che sono state erogate ad altri Paesi nuovi entranti, beneficiari netti delle risorse di bilancio UE, senza neppure contare tutte le altre risorse che le spetterebbero a titolo di coesione economica, sociale e territoriale, e riduzione i divari nei diversi livelli di sviluppo tra Stati membri (artt. 174 ss. TFUE). Tanto che il presidente ungherese usa (anche) questi argomenti per opporsi all’ingresso dell’Ucraina (Guerra Russia Ucraina, Orban ancora antieuropeo: stop all’adesione di Kiev all’Ue, a rischio l’unità europea”. Attacco russo nella notte, abbattuti 18 droni su 25 – La Stampa).

VI. Ancor più delicata appare l’analisi della capacità di assorbimento sotto il profilo della governance dell’Unione. Al riguardo, nessuno discute la necessità di riaprire il cantiere Europa, perché il processo decisionale a 27 mostra limiti rilevanti e tali da mettere in pericolo la stessa tenuta dell’Unione. Ne sono consapevoli (a) il Parlamento Europeo, che ha adottato un’apposita risoluzione contenente le sue proposte per la riforma dei trattati (Modifica dei trattati: il futuro dell’UE secondo il Parlamento europeo | Attualità | Parlamento europeo (europa.eu)); (b) la Commissione, che ha incaricato Mario Draghi di predisporre un rapporto sulla competitività dell’Unione (La nuova missione di «Supermario» Draghi (ed ecco perché ha accettato l’incarico)- Corriere.it), ufficializzandolo in occasione del suo discorso sullo Stato dell’Unione (State of the Union Address by President von der Leyen (europa.eu)); (c) i due Stati trainanti l’Unione stessa, Francia e Germania, che hanno presentato in sede di Consiglio uno studio che direttamente collega (e condiziona) il futuro allargamento a una riforma dell’Unione (La proposta su allargamento Ue e riforma dell’Unione al 2030 (eunews.it)).

VII. Va però escluso che senza la preventiva riforma della governance, delle risorse, e della struttura UE, non si possa lavorare all’ulteriore allargamento. Né sono allora vacue le dichiarazioni dei leader nazionali e unionali a favore dell’ingresso di nuovi membri, al di là del significato politico che esse hanno post 24 febbraio 2022: come si osservava, l’adesione all’Unione europea non è affatto istantanea, e presuppone un percorso di avvicinamento lungo non pochi anni. Durante i quali potrebbero in effetti portarsi a termine quelle riforme di cui comunque l’Unione ha bisogno (v. Mario Draghi (Mario Draghi on the path to fiscal union in the euro zone (economist.com)).

In quest’ottica, il processo di allargamento, da un lato, induce gli Stati candidati a porre in atto importanti riforme necessarie ad avvicinarli all’Unione, e quindi consente ai nostri valori di espandersi – e anzi di consolidarsi – verso altri Stati in modo naturale e condiviso. Non si tratta, quindi, di una “esportazione” della democrazia e dello Stato di diritto che quasi sempre ha fallito, ma della capacità dell’Unione di esercitare una forza attrattiva nei confronti dei nostri vicini. Dall’altro lato, la prospettiva dell’allargamento costituisce un forte incentivo per gli Stati membri a concordare le riforme necessarie a consentirlo, in coerenza con l’obiettivo della «creazione di un’unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa» (art. 1 TUE), che tuttora sintetizza il senso dell’Unione.

VIII. Da ultimo, un tema particolare merita attenzione e riguarda (almeno) uno degli Stati candidati, e cioè l’Ucraina, che si trova in stato di belligeranza: per la prima volta l’adesione deve darsi carico di notevoli implicazioni nel campo della politica di difesa: infatti, la clausola di solidarietà reciproca prevista all’art. 42.7 TUE renderebbe problematico per tutti gli Stati membri sottrarsi a un coinvolgimento nel conflitto qualora uno Stato membro fosse vittima di una «aggressione armata sul suo territorio» (v. Casolari, https://www.aisdue.eu/wp-content/uploads/2022/03/Casolari-BlogDUE-1.pdf).

Al riguardo, in disparte della sostanziale improponibilità di un ingresso nell’Unione di un Paese in guerra, nel caso dell’Ucraina (e forse anche Georgia e Moldavia), appare necessaria anche una sostanziale e duratura definizione del conflitto con la Russia. Il che induce anche ragionamenti strategici sulla situazione in atto e su quella prospettica da parte di tutti gli Stati interessati, Russia compresa, la cui posizione, quindi, non è irrilevante neppure sull’adesione.

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