L’interesse che fagocita gli altri interessi. L’overtourism e l’esempio fiorentino

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di Serena Stacca

Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” – Napoli

In base allo studio “Overtourism: impact and possible policy responses” del Parlamento europeo, il termine overtourism indica il momento in cui, rispetto a certi parametri e in ragione di molteplici cause, il flusso di turisti in una data località diventa eccessivo, provocando effetti negativi sul piano sociale, ambientale ed economico. In altre parole, un interesse – il turismo – prevale su altri interessi, fagocitandoli.

Gli interessi in gioco sono proprio quelli che il turismo dovrebbe contribuire a realizzare, in quanto mezzo di promozione della personalità umana: dalla valorizzazione del patrimonio storico-artistico e paesaggistico della Nazione (art. 9) alla tutela della libera iniziativa economica (art. 41), dalla protezione della libertà di circolazione a quella di soggiorno (art. 16).

Lo stravolgimento di questa funzione dovuta alle dimensioni abnormi assunte dal fenomeno turistico si registra in diverse città e località italiane. Il pensiero corre naturalmente alle città d’arte come Venezia e Firenze, non a caso da tempo sotto i riflettori dell’Organizzazione mondiale del turismo, ma pure alle mete turistiche site nelle Dolomiti o nel Parco naturale delle Cinque terre, alle attrazioni delle isole e a molti altri nostri luoghi caratteristici. In tutti, l’insostenibilità di accogliere numeri di visitatori che significativamente superano la capacità fisica di quei luoghi hanno determinato e determinano conseguenze negative, mentre i rimedi si rivelano (ancora troppo) frammentari e miopi.

Le cause

Ma quali sono le cause del sovraffollamento turistico?

Lo studio europeo le individua soprattutto nei viaggi low cost e nello sviluppo e diffusione delle piattaforme turistiche digitali (Expedia, Booking e Airbnb), che consentono spostamenti di grandi masse di visitatori anche su più mete turistiche. Il tutto trainato dai social media. I dati a disposizione dei ricercatori europei evidenziano quanto i social provvedano alla concentrazione dei visitatori in determinati luoghi e in precisi momenti dell’anno: è il c.d. turismo da selfie, veicolato anche dalla cultura popolare (si parla di “cineturismo”), che comporta una visione meramente consumistica della vacanza e del viaggio.

Tra le cause dell’overtourism si annoverano pure le politiche locali orientate all’aumento dei flussi, prive di misure di bilanciamento e regolamentazione. Ne è un esempio la tassa di soggiorno – tassa di scopo che, come tale, incentiva il turismo – dalla quale le amministrazioni comunali faticano a non dipendere, rappresentando una voce di bilancio assai significativa.

Infine, con riferimento alle aree urbane e a quelle del nostro Paese in particolare, ad alimentare il sovraffollamento turistico e le attività che gli ruotano intorno ha contribuito lo spostamento di attività nevralgiche dal centro alle periferie (tribunali, sedi universitarie, attività ricreative di grandi dimensioni, come le sale cinematografiche).

Gli effetti

Detto questo, è facile intuire in che misura il fenomeno turistico, siccome incontrollato, prevarichi su altri interessi. Eloquenti sono le parole tratte da un comunicato del sito “Emergenza cultura”, in base al quale oggi il turismo è «un’industria estrattiva che internalizza i profitti ed esternalizza i costi, genera un enorme impatto ambientale e pregiudica altri settori sociali e produttivi».

Spacchettando la definizione si possono ricostruire (alcuni di) quegli effetti dell’overtourism segnalati dalla ricerca europea sul piano sociale, ambientale ed economico e vedere, dalla prospettiva del diritto, che a ciascuno di essi corrisponde il sacrificio di uno o più beni giuridici.

a) gli effetti sociali

Il pregiudizio ai «settori sociali» richiama l’attenzione sulla c.d. turistificazione, concetto usato da sociologi e urbanisti per descrivere la trasformazione radicale del tessuto sociale di interi quartieri (specie storici) delle città. Il primo effetto del sovraffollamento concerne pertanto l’invivibilità dei luoghi, che frustra la condizione e i diritti (tra altri, il diritto alla quiete) di coloro, invero sempre meno, che vi abitano stabilmente, rendendo altresì conflittuale il rapporto con i visitatori.

Il cambiamento della composizione sociale, inoltre, impatta sui prezzi degli immobili in generale e delle case in particolare, sottraendo queste ultime al mercato residenziale a vantaggio di quello degli affitti brevi (fiscalmente disciplinato e implicitamente liberalizzato in Italia con la legge 21 giugno 2017, n. 96), in una logica di valorizzazione delle rendite. L’imporsi di questo mercato, per lo più nelle mani dell’azienda Airbnb, è emblematico nella città di Firenze: dai dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate emerge, infatti, che nel 2023 il numero di abitazioni adibite a locazioni brevi arriva al 40% nel centro storico, superando perfino la “capitale dell’overtourism” Venezia. Se a questo si aggiungono le operazioni di alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, spesso verso società immobiliari internazionali (v. il progetto Invest in Florence), non sorprende che si sia esponenzialmente generata un’emergenza abitativa, che lede il diritto alla casa e introduce nuove disuguaglianze: non solo è ormai impossibile trovare una sistemazione di lungo periodo, ma soltanto chi dispone di risorse ingenti può permettersi di mantenerla (sempre a Firenze, il sindacato della casa “Sunia Toscana” insieme a “Cgil” ha registrato, nel 2023, 150 sfratti esecutivi al mese, la maggior parte per morosità, in aumento nella popolazione anziana).

Come effetto a catena, anche il diritto al lavoro e quello allo studio vengono infine dimidiati: in mancanza di soluzioni abitative sostenibili è evidente come lavorare e studiare in città fortemente turisticizzate diventi più difficile. Il che, se di per sé è contrario ai principi costituzionali, potrà finire per ritorcersi contro la stessa industria del turismo allorché faticherà a trovare forza lavoro.

b) gli effetti economici

La turistificazione stravolge peraltro anche il tessuto economico dei luoghi nei quali si impone. Il pregiudizio riguarda gli altri «settori produttivi»: lo svuotamento dei tradizionali centri cittadini dei residenti (vuoi per l’insostenibilità dei costi, vuoi per l’invivibilità dei luoghi, vuoi per la rincorsa alla rendita facile), in uno con l’aumento dei prezzi del mercato degli immobili a uso commerciale, si porta dietro il trasferimento o la cessazione di attività diverse da quelle turistiche. Un effetto – si è detto – accelerato pure dalle scelte delle amministrazioni locali che, nel tempo, hanno spostato interi gangli urbani nelle periferie.

Ne deriva una riduzione considerevole della competitività di queste aree produttive, compromettendone la libera iniziativa economica costituzionalmente garantita.

c) effetti ambientali

A cascata vi è poi «l’impatto ambientale». Innanzitutto quello misurabile a partire dalle concezioni di identità culturale e paesaggistica dei luoghi ricavabile dal Codice dei beni culturali e paesaggistici (art. 131) e dalla Convenzione europea del paesaggio (art. 1): di nuovo, il cambiamento che il turismo incontrollato apporta alla composizione sociale ed economica delle località influisce sui tratti identitari di quei luoghi, progressivamente annullandoli (lo storico e critico d’arte Philippe Daverio già da tempo etichettava Venezia e Firenze “duty free” all’aperto). La logica del profitto da turismo prevale, dunque, sugli interessi garantiti dall’art. 9, secondo comma, Cost. Questo si coglie fatalmente anche nell’opera interpretativa della Corte costituzionale, nella quale la primarietà del valore della tutela del patrimonio storico-artistico e paesaggistico rispetto a quello contenuto nell’art. 41 Cost. ha subito negli anni un temperamento (v. il cambio di passo da Corte cost., 96/2012, dove si insisteva sulla necessità di misurare la portata dell’iniziativa imprenditoriale agrituristica con le esigenze di conservazione della «natura peculiare del territorio» a Corte cost., 104/2014 che invece di tali esigenze non sembra farsi carico, ritenendo piuttosto illegittima la disposizione regionale che vietava nei centri storici l’apertura e il trasferimento di sede di centri commerciali allo scopo di preservare la «specificità dei singoli territori»). Così come si avverte nella gestione dei musei statali, protesi ad aumentare gli introiti piuttosto che a promuovere autenticamente la fruizione collettiva delle proprie collezioni (agli Uffizi, per esempio, mancano finestre riservate alle scolaresche, il cui ingresso è sfavorito a vantaggio dei numerosi gruppi paganti).

Ancora, il sovraffollamento turistico espone al rischio di intaccare il patrimonio materiale storico-artistico e naturalistico di un luogo (nel 2023 nel capoluogo toscano sono stati registrati quasi 13 milioni di visitatori) e senz’altro provoca danni ambientali in senso stretto, violando così pure il contenuto del terzo comma dell’art. 9 Cost. Non solo, infatti, secondo la “Società italiana di Medicina ambientale”, l’overtourism è responsabile del 5% delle emissioni globali di CO2, soprattutto a causa dei trasporti, ma contribuisce in maniera sensibile all’aumento dei rifiuti, al consumo di acqua, di suolo e, in generale, di risorse energetiche.

Anche questi costi vengono esternalizzati. Essi ricadono tanto sull’intera comunità (una prova concreta si ha nell’aumento di anno in anno della Tari), quanto sui cittadini che continuano a risiedere nelle zone altamente turisticizzate, per i quali l’impatto del sistema ricettivo extra-alberghiero (i.e. Airbnb) si misura sulle spese condominiali, mentre le regole di ripartizione di tali spese rimangono ancorate al criterio legale dei millesimi: negli edifici storici o comunque di risalente costruzione sono infatti normalmente assenti i regolamenti contrattuali, gli unici che possono prevedere accordi diversi (v. Trib. Roma, sez. V civ., 1271/2024).

I rimedi

Le conseguenze dell’overtourism, che si alimentano reciprocamente, sono note almeno dal 2018, anno in cui è stata diffusa la ricerca del Parlamento europeo. Eppure, soltanto in tempi recenti il turismo è stato oggetto di un incontro G7 (giust’appunto a Firenze lo scorso novembre) e solo da poco si è iniziato ad adottare misure per rimediare al sovraffollamento nel nostro Paese.

Si tratta peraltro di iniziative disorganiche, rispetto alle quali si avverte l’assenza di coordinamento tra livelli territoriali e, soprattutto, di una visione complessiva (anche dal punto di vista delle criticità di rilievo costituzionale) del fenomeno. Così, si prendono provvedimenti per contenere il numero dei turisti (v. il ticket d’ingresso a Venezia o l’aumento della tassa di soggiorno), per bloccare gli affitti brevi (v. la variante al Piano operativo della città di Firenze) oppure per limitarli (v. art. 59 del nuovo Testo unico del turismo della Regione Toscana; art. 4 legge regionale Valle d’Aosta 18 luglio 2023, n. 11); si mettono in cantiere iniziative per tutelare decoro urbano e pubblica sicurezza (v. il divieto di installare e usare le key box inserito nella proposta di modifica al Regolamento di polizia urbana di Firenze); si prescrivono adempimenti per il contrasto all’evasione fiscale nel settore extra-alberghiero (v. il codice identificativo nazionale e l’obbligo in capo agli intermediari immobiliari, come Airbnb, di versare la cedolare secca allo Stato italiano: Cons. St., sez. IV, 9188/2023); si impongono agli host vincoli in tema di sicurezza e si comminano sanzioni in caso di loro violazioni.

Sono questi interventi limitati e di facciata, dal momento che mancano misure locali di (re)investimento pubblico nel settore del mercato residenziale, di rivalorizzazione dell’economia locale e dell’artigianato, di promozione culturale e sociale dei centri urbani, così come avviene altrove in Europa. Basti pensare alle politiche abitative della città di Vienna, che detenendo una grande parte del patrimonio immobiliare lo destina a civile abitazione e lo sottrae al mercato; alle iniziative di ripensamento degli spazi urbani centrali di Francoforte, che non mirano alla turnazione delle attività commerciali ma rivitalizzano quegli spazi con aree verdi, caffè studio, zone per bambini; alla legge che a Berlino impone dal 2020 un tetto agli affitti; all’esperienza, infine, delle cooperative edilizie di Copenaghen, società no profit, dove i soci pagano un affitto commisurato ai soli costi di gestione e di manutenzione e insieme acquisiscono col tempo una quota della proprietà.

Non vengono in altre parole prese le decisioni che possono restituire alla fisiologia il fenomeno turistico e soprattutto annullare o almeno ridimensionare il sacrificio degli altri interessi.

Al solito: «se vogliamo che rimanga tutto com’è, bisogna che tutto cambi».

Autore

S. Stacca

Università degli Studi “Suor Orsola Benincasa” – Napoli

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