L’Unione dopo la ri-“elezione” di Ursula von der Leyen: una forma di governo sempre più chiaramente parlamentare (di tipo consensuale)

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di Nicola Lupo

LUISS “Guido Carli”

La ri-“elezione” di Ursula von der Leyen a Presidente della Commissione europea è avvenuta il 18 luglio 2024, a scrutinio segreto, con i voti di 401 europarlamentari (sui 360 necessari): un margine decisamente più elevato rispetto a quello di 5 anni or sono, ottenuto sia grazie alla sua posizione di Spitzenkandidatin del partito, sia perché, in quanto Presidente uscente della Commissione (e quindi tuttora pienamente in carica), ha potuto con ogni probabilità avvalersi delle risorse negoziali spettanti al titolare di tale carica.

Il processo che ha portato a tale ri-“elezione” da parte del Parlamento europeo (secondo la formula di cui all’art. 17.7 TUE: in realtà, un voto di approvazione, vista l’assenza di candidature alternative) ha peraltro mostrato, forse con ancora maggiore chiarezza che in passato, come le dinamiche del sistema istituzionale nell’Unione europea si siano ormai ulteriormente “politicizzate” e assomiglino sempre più a quelle di una tipica forma di governo parlamentare, di tipo consensuale (per usare la classica distinzione formulata da A. Lijphart: Patterns of Democracy, II ed., YUP, Yale, 2012).

Il voto per il Parlamento europeo di inizio giugno, svoltosi con sistemi elettorali diversi in ciascuno Stato membro ma per larga parte di tipo proporzionale (in alcuni casi con soglie di sbarramento: per un panorama, cfr. C. Martinelli, Il Parlamento europeo. Simbolo o motore dell’Unione?, Il mulino, Bologna, 2024, p. 109 s.), ha sì registrato spostamenti rispetto al passato, ma ha confermato, come unica maggioranza possibile, quella che fa capo a popolari (rafforzatisi), socialisti (indebolitisi, ma forse meno del previsto) e liberali (scesi di 22 seggi). Le forze più euroscettiche, perlopiù collocate alla destra dello schieramento politico, hanno infatti “vinto” in alcuni importanti Stati membri (Germania, Francia, Italia) e hanno complessivamente incrementato la loro rappresentanza parlamentare, ma non tanto da divenire decisive per la formazione della nuova Commissione.

Nelle settimane successive al voto, in occasione della costituzione dei gruppi politici (per formare i quali occorrono 23 parlamentari eletti in almeno 7 diversi Stati membri: art. 33 del regolamento del Parlamento europeo, sulle cui origini cfr. R. Corbett, F. Jacobs, D. Neville, The European Parliament, X ed., Harper, London, 2024, p. 75 s., si sono registrati assestamenti di notevole rilievo), che hanno interessato anche gli europarlamentari eletti in Italia. Sia a sinistra, dove il Movimento Cinque Stelle, che nella scorsa legislatura era rimasto tra i non iscritti (e che in campagna elettorale non aveva esplicitato la propria futura collocazione), ha aderito a “La sinistra”, assieme a due europarlamentari eletti nell’Alleanza Verdi e Sinistra (mentre altri tre eletti per la medesima Alleanza sono finiti nel gruppo dei Verdi).

Sia, soprattutto, a destra, dove, anche per effetto di un incremento dei seggi, si è registrata una profonda riarticolazione dei gruppi politici (con la creazione di un nuovo gruppo e l’aumento perciò del loro numero complessivo, passato da 7 a 8, oltre ai parlamentari non iscritti): il gruppo più estremo (e anche il più piccolo) è ora quello dei “sovranisti”, composto prevalentemente da parlamentari eletti per Alternative für Deutschland (espulsi da Identità e democrazia alla vigilia delle elezioni europee); segue il gruppo più numeroso (il terzo complessivo), quello dei cosiddetti “patrioti”, guidato dal Rassemblement national, e a cui aderiscono tra gli altri l’ungherese Fidesz (uscito dal gruppo popolare nel 2021, un attimo prima di essere espulso dal medesimo), lo spagnolo Vox (già alleato di Fratelli d’Italia) e la Lega; infine, c’è il gruppo dei “conservatori”, in cui spiccano Fratelli d’Italia e il polacco PiS.

Come si è accennato, la “coalizione di maggioranza” è emersa subito, all’indomani del voto, e ha immediatamente rinnovato il suo “accordo di coalizione”. È stata questa coalizione a istruire i lavori del Consiglio europeo, il quale il 27 giugno 2024 ha eletto il socialista portoghese Antonio Costa a suo presidente, ha designato la liberale estone Kaja Kallas ad Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune e, soprattutto, ha indicato Ursula von der Leyen, già Spitzenkandidatin dei popolari, per un nuovo mandato a Presidente della Commissione. Oltre ad aver messo in conto la ri-elezione della popolare maltese Roberta Metsola a Presidente del Parlamento europeo (avvenuta poi, il 16 luglio 2024, con amplissimo consenso).

In Parlamento, appunto, sulla base delle sue dichiarazioni programmatiche – sia quelle contenute nello speech pronunciato prima del voto, sia quelle presenti in appositi “Orientamenti politici” – la nuova Presidente della Commissione ha ricevuto quello che si può ben chiamare, sempre con il linguaggio dei sistemi politici consensuali, un “appoggio esterno” da parte dei Verdi, i quali, anche sula base di una linea di non discontinuità rispetto agli obiettivi del Green Deal, hanno fatto una dichiarazione di voto a favore della nuova Presidente, e sono stati debitamente ringraziati. Mentre non ha ottenuto il consenso del gruppo dei conservatori, nonostante un lungo negoziato, trascinatosi fino all’ultimo.

Ovviamente, si dovrà vedere quali saranno i gruppi politici, e i partiti nazionali, che in autunno si esprimeranno, con votazione palese, a favore della Commissione nel suo complesso, sulla sua composizione finale e sul suo programma di lavoro.

Tuttavia, nel frattempo, sempre in seno al Parlamento europeo, si è andato delineando il cosiddetto “cordone sanitario”: il quale altro non è, come si è da tempo avvertito, che una versione europea, e più severa, della conventio ad excludendum, per effetto della quale alcune forze politiche, in quanto considerate anti-sistema, sono escluse non solo dal governo dell’Unione, ma altresì dal riparto delle cariche in seno al Parlamento europeo (N. Lupo, A. Manzella, Il Parlamento europeo, LUP, Roma, 2024, p. 32).

Ebbene, tale “cordone sanitario”, di cui nella scorsa legislatura era stato oggetto il gruppo Identità e democrazia, si è applicato per l’elezione dei 14 vicepresidenti del Parlamento europeo, avvenuta sempre il 16 luglio 2024. In esito a questa elezione, si è esclusa ogni rappresentanza ai gruppi politici dei sovranisti e dei patrioti, mentre si sono assicurate ben due caselle ai conservatori. Lo stesso è accaduto nell’elezione dei presidenti e vicepresidenti delle 20 commissioni permanenti, il 23 luglio 2024 (con 3 presidenze assegnate ai “conservatori”); e accadrà, poi, con ogni probabilità, per le presidenze delle 48 delegazioni che assicurano la rappresentanza del Parlamento europeo in una serie di cruciali relazioni e assemblee internazionali. Le presidenze e le vicepresidenze di tutti questi collegi minori sono infatti distribuite secondo un criterio tipicamente proporzionale (secondo il metodo d’Hondt), con attenzione alle diverse provenienze nazionali e al gender balance, tra i diversi gruppi politici; salvo, appunto, quelli esclusi per effetto del “cordone sanitario”, i cui candidati normalmente non sono votati dai restanti europarlamentari.

Dunque, per comprendere quanto è accaduto, non c’è assolutamente da gridare al “complotto”, quando non addirittura al “colpo di Stato”; né da applicare schemi tipici della democrazia maggioritaria o di investitura, ipotizzando forme di elezione/legittimazione più o meno diretta dei vertici dell’Esecutivo (magari sulla scorta di suggestioni derivanti dal dibattito sul nostro “premierato”), che nell’Unione europea appaiono poco proponibili.

La convenzione costituzionale sugli Spitzenkandidaten, che ha ritrovato vigore dopo la parentesi del 2019, è stata infatti interpretata in chiave parlamentaristica (sulle sue ambiguità e sulle sue origini cfr. M. Ceron, T. Christiansen, D.G. Dimitrakopoulos, eds., The Politicisation of the European Commission’s Presidency. Spitzenkandidaten and Beyond, Palgrave, London, 2024). Sono stati i partiti europei, sulla base dei voti e, soprattutto, dei seggi ottenuti, a trovare l’accordo sui cosiddetti EU top jobs e sulle linee programmatiche enunciate dalla Presidente. E ora dovranno confermare tale accordo quanto alla composizione della Commissione europea: presumibilmente con qualche allargamento della coalizione, visto che non mancano Stati membri con Governi retti o supportati da partiti diversi da quelli che hanno “eletto” la nuova Presidente della Commissione; e ai quali, in qualche caso, si applica persino il “cordone sanitario”.

Decisiva, come già in passato, risulterà essere un’altra procedura costruita in via convenzionale, e ora riconosciuta dal regolamento del Parlamento europeo nell’art. 129 e nell’ allegato VII: quella delle audizioni di ciascun Commissario designato presso le commissioni permanenti del Parlamento europeo (Y. Citino, N. Lupo, Règles pratiques, conventionnelles et coutumières dans la procédure d’investiture de la Commission européenne, in Revue  de l’Union Européenne, 678, 2024, pp. 283-291). Una procedura nella quale gli aspiranti commissari sono sottoposti a un esame rigoroso, che si conclude con una votazione all’interno dell’ufficio di presidenza di ciascuna Commissione, in cui in passato non pochi nomi, anche autorevoli, da Rocco Buttiglione a Sylvie Goulard, sono usciti sconfitti, obbligando il Governo dello Stato membro e il Presidente della Commissione a individuare nomi alternativi.

In questa chiave, abbastanza peculiare è la situazione italiana. Un po’ come è accaduto all’indomani delle elezioni europee del 2019, il partito che ha chiaramente “vinto” tali elezioni in Italia ha finito per “perderle” in Europa, e non è perciò riuscito a far sentire il peso dei tanti voti ottenuti nella determinazione dell’indirizzo politico europeo.

Certo, qui siamo abbastanza lontani dall’evidente frustrazione che portò, nell’estate di cinque anni or sono, Matteo Salvini a tentare di far cadere il governo Conte 1 (N. Lupo, Intertwining “Forms of Government”, between Rome and Brussels: the Influence of EU Dynamics on the Handover from Conte I to Conte II Cabinet, RECONNECT Working Paper, no. 13, December 2020). Tuttavia, in queste settimane non è stato facile, e non lo sarà neppure nel prosieguo, per Giorgia Meloni, tenere assieme, sullo scenario europeo, il ruolo di leader di un partito europeo che, pur restando fuori dal “cordone sanitario”, non ha voluto appoggiare la nuova Commissione europea; e quello di capo di governo di uno degli Stati fondatori e fondanti dell’Unione, la quale ha deciso di non votare in seno al Consiglio europeo la nuova Presidente (fatto inedito, per un governo italiano), a capo di un esecutivo che ha come principali partner della sua maggioranza due partiti – con consensi sostanzialmente equivalenti – collocati uno al cuore dell’accordo di coalizione europeo, e l’altro tra le forze anti-sistema.  In forme di governo sempre più intrecciate tra di loro e davanti a sfide di grande rilievo, quali quelle cui l’Unione dovrà rispondere nel prossimo quinquennio, la aspetta perciò un compito tutt’altro che agevole, con un elevato rischio di dare origine a cortocircuiti (così F. Brugnoli, Le scelte della seconda Commissione von der Leyen).

Ovviamente, molto dipenderà da come si atteggerà la legislatura che si è appena aperta, nella quale comunque – sul piano istituzionale – la Presidente della Commissione si è impegnata a garantire una presenza ancora più assidua dei commissari in Parlamento, anche qui in piena coerenza con i dettami di una forma di governo parlamentare (si veda il passaggio finale dei già richiamati Orientamenti politici, in cui la Commissione, tra l’altro, si è distanziata dalle perplessità espresse dal Consiglio circa la discussione in Parlamento delle motivazioni che la spingano a ricorrere all’uso dell’art. 122 TFUE come base giuridica per fronteggiare circostanze eccezionali).

Non è chiaro, infatti, se prevarrà la prassi più tradizionale, alla luce della quale le maggioranze in Parlamento sulle iniziative legislative tendono ad essere assai variabili, di volta in volta, anche a seconda degli interessi nazionali (come ricorda E. Moavero, Le scelte oltre le nomine, in Corriere della Sera, 21 luglio 2024). O se invece, per effetto dell’accelerazione del processo di politicizzazione dell’Unione (c’è chi ha autorevolmente parlato di una “Seconda Repubblica europea”: E. Cannizzaro, The Second Republic of Europe, in European Papers, 2024, n. 1), la coalizione popolari-socialisti-liberali, con l’appoggio esterno dei verdi, sarà l’asse intorno al quale verterà l’indirizzo politico dell’Unione.

In quest’ultimo caso, i conservatori finiranno presumibilmente per essere collocati ai margini: pagando un prezzo elevato non solo per l’atteggiamento tenuto negli ultimi due mesi, ma fors’anche per altre ragioni, di tipo politico e programmatico. Ossia, un po’ per non essere appieno coerenti con la tutela dello Stato di diritto (non dimentichiamoci delle controversie che hanno interessato il governo polacco quando era in mano al PiS); un po’ perché non si nutrono eccessive certezze sulla collocazione in politica estera di Fratelli d’Italia (e del Governo italiano), specie in caso di vittoria di Trump nelle elezioni americane.

In fondo, la Presidente eletta della Commissione europea ha ben delineato l’asse portante del suo nuovo mandato, nella direzione di un approfondimento/allargamento dell’integrazione europea, del supporto all’Ucraina e della difesa dello Stato di diritto (S. Fabbrini, Il voto a Strasburgo e l’anomalia italiana, in Il Sole 24 Ore, 21 luglio 2024). E ogni esitazione nel procedere lungo questa direzione finisce inevitabilmente per allontanare chi se ne faccia interprete dal “nocciolo duro” del governo dell’Unione: un “nocciolo duro” destinato a giocare un ruolo sempre più decisivo, specie allorquando, man mano che si procede con l’allargamento (se non già prima, anche per evitare veti da parte di Orbàn), il principio di unanimità dovrà cedere il passo al principio di maggioranza, anche in seno al Consiglio europeo.

L’esito delle elezioni francesi svoltesi nel frattempo il 30 e il 7 luglio 2024 – a seguito di uno scioglimento imprevisto, deciso proprio in esito alle elezioni per il Parlamento europeo – in fondo sembra confortare quanto alla sussistenza di un consenso adeguato, anche in Francia, intorno questo asse portante. E ciò anche a prescindere da quale sarà il governo destinato a prendere il posto di quello, dimissionario, guidato da Gabriel Attal. Nell’ambito, peraltro, di una forma di governo che, anch’essa, sta decisamente evolvendo in senso parlamentare e consensuale.

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N. Lupo

LUISS "Guido Carli"

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