Natalità, politiche per la famiglia, procreazione: orientamenti e contraddizioni dell’azione governativa

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di Maria Pia Iadicicco

1. Nel mese di maggio del 2024 si sono tenuti a Roma per il quarto anno consecutivo gli Stati generali della natalità. Quest’ultima edizione, la quarta, che come le precedenti ha inteso animare la riflessione su di un tema tutt’altro che nuovo, quello del calo delle nascite, è stata contraddistinta, più che in passato, da forti tensioni e scontri tra forze dell’ordine e cortei di studentesse e studenti. Se rispetto a tali ultimi episodi possono richiamarsi considerazioni già avanzate in questo Blog [C. Tripodina; C. Amorosi], le ragioni della protesta giovanile meritano qualche supplemento di riflessione in quanto le stesse hanno posto al centro del dibattito pubblico la libertà delle donne di decidere sul proprio corpo e il tema delle scelte riproduttive, quali profili strettamente implicati in ogni decisione politica che intenda affrontare anche il problema della denatalità.

Difatti la contestazione giovanile ha investito alcune recenti prese di posizione delle forze di governo sul tema della procreazione, come l’inserimento nel c.d. decreto PNRR di una disposizione (art. 44-quinquies) volta a favorire la presenza nei Consultori di associazioni aventi una «qualificata esperienza nel sostegno alla maternità». Questa previsione è stata sbandierata, da un lato, come necessaria attuazione e finanche riproduzione di analoghe previsioni già contenute nella legge n. 194 del 1978 (che, invero, contrariamente a quanto sostenuto, rimette ai Consultori, non alle Regioni, la scelta del coinvolgimento di associazioni di volontariato), dall’altro lato, come l’ennesimo attacco al fondamentale diritto all’aborto. Si tratta di affermazioni che, per un verso come nell’altro, trovano più appropriate declinazioni ed argomentazioni nelle riflessioni della dottrina giuspubblicistica, sulle quali in questa sede non è possibile indugiare, volendo invece soffermarsi sulle ragioni di critica nei confronti dell’operato dell’attuale Governo per le decisioni assunte in materia di procreazione, genitorialità e filiazione.

2. Emergono a tal riguardo temi soltanto sfiorati nel corso degli Stati generali della natalità, che pur tuttavia restituiscono un’immagine, se non a tutto tondo, quantomeno più ampia di quella limitata alle politiche pronataliste, sulle quali l’impegno dell’attuale Governo è incontrovertibile e comprovato anche dalla nuova denominazione del Ministro senza portafoglio; un’immagine, comunque, non priva di zone d’ombra, o meglio, di aspetti di ambiguità e contraddizione .

Oltre al discutibile, se non proprio temerario, accostamento tra denatalità e interruzione volontaria della gravidanza – che pur costantemente compare nelle affermazioni dei movimenti pro-life e anti-abortisti -, è riemerso anche il controverso rapporto tra riduzione delle nascite e immigrazione, anch’esso particolarmente diffuso tra alcune forze politiche e movimenti, ma secondo una specifica e ben chiara curvatura, che trova la sua più nota ed estrema esternazione nella battaglia contro la «sostituzione etnica» incitata circa un anno fa dal ministro Lollobrigida. L’accostamento è tutt’altro che “innocente” e privo di rilievo storico e giuridico: basti ricordare che, nell’esperienza italiana prerepubblicana, la politica di espansione demografica perpetrata dal regime fascista assunse una spiccata e dichiarata connotazione razziale e fu attuata, oltre che con una vasta serie di provvedimenti, anche mediante la repressione penale dell’aborto e delle pratiche antifecondative (Titolo X del Libro II del Codice penale «Dei delitti contro la integrità e la sanità della stirpe»). Ad ogni modo, anche mettendo da parte il controverso concetto di sostituzione etnica, quanto conta evidenziare è la specifica declinazione del rapporto tra immigrazione e denatalità condivisa dal Governo in carica. Contrariamente a quanto da più parti sostenuto, e cioè che le politiche di immigrazione regolare rappresentano una componente ineludibile di una più ampia strategia per affrontare il problema demografico, al fine di contenere almeno gli effetti del declino della natalità sul rapporto tra spesa pensionistica e PIL, la posizione del Governo Meloni è di tutt’altro segno: le strade maestre da percorrere sono l’incentivazione della partecipazione delle donne italiane al mondo del lavoro e le politiche a favore della formazione di famiglie con più figli. Si tratta di una scelta senz’altro legittima, della quale, pur tuttavia, non si può non valutare la limitata efficacia rispetto allo scopo perseguito. Come compiutamente dimostrato in attenti studi (v. almeno R. Arcano, L. Ciotti, C. Cottarelli) pare meramente illusorio pensare che anche la migliore politica di incentivazione delle nascite da cittadini italiani conduca ad un innalzamento del tasso di fecondità totale tale da compensare, nel lungo periodo, il minor flusso di immigrati e le ripercussioni di ciò sulla nostra economia, salvo appunto voler esprimere una chiara, e lo si ripete, legittima posizione ideologica sul tema della denatalità, negando o contenendo il contributo dell’immigrazione regolare alla sostenibilità dei conti pubblici.

In ogni caso, al di là della discutibile percorribilità ed efficacia dell’approccio del Governo al tema della denatalità sul versante del suo rapporto con l’immigrazione – una questione a ben vedere di enorme complessità e troppo spesso oggetto di frettolose semplificazioni -, ulteriori contraddizioni emergono proprio volgendo lo sguardo alle vie maestre dallo stesso indicate.

3. Senza per questo potersi inoltrare in un impegnativo approfondimento dei vari determinanti che incidono sulla riduzione della fecondità e della natalità, allargare lo sguardo al complesso delle politiche pubbliche per la famiglia è fondamentale, in quanto non solo regolando la famiglia, le altre forme di convivenza non fondate sul matrimonio, lo status di figlio e i diritti e doveri dei genitori il decisore politico incide sulle relazioni familiari e sulla scelta di fare o meno figli, ma anche elaborando e attuando politiche sociali, con trasferimenti monetari diretti e indiretti alle famiglie, misure di conciliazione tra attività lavorativa e vita familiare e soprattutto garantendo servizi pubblici di sostegno alle responsabilità di cura dei genitori.

A tal riguardo, nel corso degli ultimi anni, non si possono non registrare dei miglioramenti. Ci si riferisce all’approvazione, nel corso della passata Legislatura, della prima misura universalistica a sostegno dei figli a carico, l’Assegno unico e universale, a regime da marzo 2022, che ha assorbito le precedenti e frammentate misure di sostegno alla natalità, e il cui importo e le risorse necessarie per lo stanziamento sono state oggetto, nel corso di questa Legislatura, di interventi volti a introdurre maggiorazioni e incrementi. Ma soprattutto il riferimento è al c.d. Family act (Legge delega n. 32 del 7 aprile 2022), il quale è intervenuto in ulteriori ambiti (tra cui il sostegno all’occupazione femminile; le spese educative e scolastiche e per attività sportive e culturali dei figli; la promozione dell’autonomia finanziaria dei giovani; le misure volte a favorire l’accesso ai servizi offerti alle famiglie) con l’intento di inaugurare un nuovo corso per le politiche familiari e superare alcuni limiti del passato, in primis l’alto livello di frammentarietà, nonché l’incoerenza e il carattere implicito di queste politiche. Pur non potendosi negare che l’intervento in alcuni ambiti previsti dalla legge delega conservasse aspetti di parzialità, giova evidenziare che il termine per la emanazione dei decreti legislativi delegati, già una volta prorogato di ulteriori 12 mesi, è scaduto il 12 maggio 2024 senza che degli stessi, ad oggi, si abbia alcuna traccia. Salvo qualche sfuggente giustificazione, tra cui capeggia l’assenza di coperture certe del Family act e salvo interventi estemporanei introdotti con la legge di bilancio 2024, pare che l’attuale Governo abbia nuovamente invertito la rotta rinunciando ad una riforma, che, seppur migliorabile, ambiva a porsi come organica e stabile. Come si è detto, tra i tanti limiti di impostazione del passato in materia di politiche per la famiglia emergono la incoerenza e la frammentarietà delle stesse, oltre che il noto condizionamento derivante dalla ridotta quantità di risorse stanziate; ma un ulteriore e non meno decisivo aspetto critico può rinvenirsi nella qualità, oltre che nella quantità, della spesa, ovvero, per un verso, il limitarsi prevalentemente a misure di sostegno al reddito e non anche alla previsione di servizi per la prima infanzia e le famiglie, e, per altro verso, la instabilità e precarietà delle misure adottate.

4. Ulteriori contraddizioni possono rinvenirsi focalizzandosi nuovamente su profili settoriali, come quello dell’accesso alle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita per assecondare un desiderio di genitorialità impedito da condizioni di infertilità o sterilità di coppia. Senza ricadere nell’errore di prospettiva surriferito, vale a dire ritenere che interventi settoriali – e, nel caso di specie, fortemente delimitati e con ulteriori e non trascurabili profili di problematicità – possano risolvere il problema del decremento delle nascite, un supplemento di riflessione sull’effettività ed equità nell’accesso alle biotecnologie riproduttive merita di essere fatto. In proposito, si deve rimarcare che uno dei principali ostacoli “pratici” e non normativi incontrati dalle coppie infertili, legittimate dalla legge n. 40 del 2004 ad accedere a tecniche di PMA (anche all’esito di note pronunce della Corte costituzionale), è stato quello dei costi economici dei trattamenti, che sono anche particolarmente elevati. Per le coppie impossibilitate a sostenere quei costi con risorse proprie rivolgendosi a strutture private, tale ostacolo si è convertito in una vera e propria barriera all’accesso, in quanto fino al 2017 le tecniche di PMA omologa ed eterologa non erano inserite nei Livelli Essenziali di Assistenza e il lungo ritardo nell’aggiornamento degli stessi è stato determinato dalle difficoltà di copertura finanziaria dei LEA, a fronte di risorse sempre più limitate e di stringenti limiti di bilancio, tanto più per le Regioni in piano di rientro.

Ma anche dopo la tardiva approvazione del DPCM 12 gennaio 2017 recante i nuovi LEA e che include, tra le prestazioni di specialistica ambulatoriale, la PMA omologa e con donazione di gameti, i rischi di impossibile accesso nel SSN a questi trattamenti e di differenziazione tra Regioni restano alti. Questo perché, come prevede l’art. 64, co. 2 del DPCM, le disposizioni concernenti le nuove prestazioni in materia di assistenza specialistica ambulatoriale entreranno in vigore solo a seguito dell’approvazione del decreto ministeriale che ne stabilisce le tariffe massime. Tale ultimo decreto ha visto la luce dopo un lungo travaglio solo il 23 giugno 2023 e, a seguito di un primo differimento della entrata in vigore delle tariffe dell’assistenza specialistica ambulatoriale al 1° aprile 2024, il 31 marzo 2024 il Ministro della salute ha firmato un altro provvedimento che dispone un ulteriore differimento al 1° gennaio 2025. Nel lungo preambolo del medesimo, insieme al richiamo ad una lunghissima serie di atti e al rimpallo di responsabilità, si legge che all’ulteriore proroga si è pervenuti «a fronte dell’espressa richiesta di un cospicuo numero di Regioni (…) anche al fine di valutare una più ampia revisione delle medesime tariffe, assicurando nel contempo una graduale transizione al nuovo tariffario». Anche volendo tralasciare ulteriori rilievi critici su questo stato delle cose – invero non imputabile soltanto al Governo in carica-, pare difficilmente comprensibile quel richiamo alla gradualità, considerato il lungo lasso di tempo intercorso dall’approvazione del DPCM del 2017 sui nuovi LEA ad oggi. Ancora una volta, oltre al condizionamento finanziario, potrebbero aver pesato convincimenti etici sulla liceità di tali forme di procreazione e sul supporto pubblico alle stesse, sicché non dovrebbe stupire che, anche su questo versante delle scelte riproduttive, l’operato dell’attuale Governo susciti contestazioni e riveli incoerenze tra quanto dichiarato e quanto effettivamente compiuto.

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