Passi indietro su anticorruzione e trasparenza? Considerazioni a margine del PNRR e del decreto PA
di Enrico Carloni
(1) L’allarme lanciato dal Presidente dell’Anac, a partire da previsioni del PNRR e del successivo decreto 9 giugno 2021, n. 80 (Misure urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni funzionale all’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) e per l’efficienza della giustizia), sollecita una riflessione sullo “stato” dell’anticorruzione e induce a rivolgere particolare attenzione a questo passaggio critico nell’evoluzione del sistema di anticorruzione costruito a partire dalla legge n. 190 del 2012.
Nel momento in cui la prevenzione della corruzione è vista dal nuovo Presidente degli Stati Uniti come sfida decisiva per le democrazie (“preventing and countering corruption and demonstrating the advantages of transparent and accountable governance, we can secure a critical advantage for the United States and other democracies” recita il documento del 3 giugno, dal titolo eloquente “Memorandum on Establishing the Fight Against Corruption as a Core United States National Security Interest”), e a livello globale il tema dell’anticorruzione è rilanciato con forza nella Sessione speciale sulla Corruzione, organizzata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tenutasi a New York dal 2 al 4 giugno, lo scenario nazionale presenta chiaroscuri, con una foschia che si addensa intorno al PNRR che è bene diradare.
Per quanto la cornice europea nel quale si è inserito il piano italiano sembrasse condurre verso un rafforzamento dell’anticorruzione e della trasparenza nel quadro del Next generation EU, ed anche molte aspettative nei confronti del nuovo Governo andassero in questa direzione, la strategia italiana delineata attraverso il PNRR ed i provvedimenti di accompagnamento, tra i quali in particolare il decreto legge recante misure per il rafforzamento della capacità amministrativa, tradiscono infatti un approccio per più aspetti problematico su questo fronte. Due indizi non fanno una prova, ma giustificano un interrogativo: il Governo italiano vuole davvero fare, riprendendo le parole dell’attuale Presidente dell’Autorità anticorruzione, “preoccupanti passi indietro sull’anticorruzione”?
Certo l’assommarsi di crisi, quella pandemica ancora non alle spalle, quella economica in corso, quella finanziaria sullo sfondo, non aiuta il sistema italiano, di suo già solo episodicamente propenso a rafforzare la trasparenza e il controllo diffuso da parte dei cittadini.
Se il dubbio è che l’anticorruzione sia in “crisi”, vanno seguite le tracce di questa crisi, che ha forse radici più risalenti ed evidenti manifestazione nella stagione dell’emergenza pandemica, ma emerge con chiari segnali proprio all’incrocio tra il Piano di ripresa e resilienza ed i primi provvedimenti di riforma volti ad “efficientare” la macchina pubblica in vista della sua attuazione.
(2) Un primo segnale in questo senso è stata forse la stessa procedura di approvazione del PNRR, peraltro a valle di una stagione (di nuovo, forse inevitabilmente) opaca nell’emergenza pandemica. Molte associazioni hanno lamentato lo scarso coinvolgimento, questo in contrasto con la procedura suggerita dal livello europeo. Il testo sul quale c’è stato un dibattito parlamentare è stato presentato dal Governo Conte II, ma alla Commissione è stato recapitato un documento diverso, definito dal nuovo Governo Draghi, peraltro oggetto di cambiamenti sostanziali sul filo di lana che hanno spostato alcune poste rispetto al testo approvato dal Consiglio dei Ministri. Il documento è stato in ogni caso conoscibile solo ex post, dopo la sua consegna alla sede europea: il che può forse essere compatibile con la trasparenza dell’atto non lo è con la trasparenza del percorso, e certo non con la partecipazione. Qui l’attenuante è indubbia, ed è di tipo politico, legata alla crisi di governo intervenuta proprio nella fase, di suo già dai tempi ristretti, di approvazione del Piano.
Un indizio più consistente è però esplicitato nello stesso Piano nazionale di ripresa e resilienza, nel quale, testualmente, si propone una strategia che ricorda alcuni rimedi per la cura dei mali: non la terapia mediante i contrari, come raccomandava Ippocrate, ma omeopaticamente con i simili, “similia similibus curantur”. Solo che qui l’operazione è per sottrazione: c’è poca trasparenza? Rafforziamo l’opacità. Abbiamo un problema di corruzione? Riduciamo l’anticorruzione. Il lettore che ne avrà voglia, potrà leggere, spero senza sentire troppo il peso del paradosso, il paragrafo titolato “Abrogazione e revisione di norme che alimentano la corruzione” (pagina 71 del PNRR trasmesso all’Unione). Quali queste norme? Quelle sui controlli pubblici, quelle sulla trasparenza, quelle sull’anticorruzione. “È il caso delle disposizioni sulla trasparenza che prevedono – tra l’altro – obblighi di pubblicazione di numerosi atti […]. È il caso, inoltre, delle norme che contemplano ben tre tipi di accesso ai documenti e alle informazioni amministrative”. In un paese così opaco e denso di norme, alcune delle quali davvero criminogene, colpisce questa individuazione del nemico interno nella stessa anticorruzione, nella stessa trasparenza. Né convince la soluzione prospettata sul fronte della trasparenza, di riduzione dello stock di informazioni disponibili e di concentrazione dei dati in un portale unitario gestito dall’ANAC: se l’idea è semplificare la vita delle amministrazioni, non convince molto la sostituzione di un meccanismo ormai rodato (la pubblicazione nel proprio sito istituzionale) con uno tutto da costruire; e, mentre convince ancora meno l’idea di assicurare più trasparenza con meno trasparenza, pare contraddittorio concentrare in un’unica sede le informazioni di circa dodicimila soggetti tenuti agli obblighi di pubblicazione e così voler proteggere il cittadino dall’opacità per confusione di cui soffrirebbe nell’accedere al sito della sua amministrazione. Il tutto tacendo, per dovere di brevità, della riduzione dei tre tipi di accesso ad uno, questione da manovrare con particolare cura visti i possibili effetti collaterali opacizzanti.
Un nuovo indizio, che ha scosso appunto anche l’attuale vertice dell’Autorità anticorruzione, è anticipato dallo stesso PNRR che annuncia l’intenzione di presentare al Parlamento le linee di semplificazione dell’anticorruzione entro giugno, sulla base di un progetto già elaborato da una commissione operante presso Funzione pubblica: per quanto il PNRR preannunciasse un disegno di legge, la scelta del Governo sembra ancora più decisa e si manifesta ora attraverso una disposizione contenuta nel decreto legge sul rafforzamento amministrativo, citato in apertura, che all’art. 6 pone le premesse di un delitto perfetto in tre mosse. La prima, istituire un nuovo “Piano integrato di attività e organizzazione”, con il quale tra l’altro le amministrazioni dovrebbero annualmente rendere conto delle performance, del reclutamento, delle politiche di parità di genere, dell’accessibilità e, non ultimo, de “gli strumenti e le fasi per giungere alla piena trasparenza dell’attività e dell’organizzazione amministrativa nonché per raggiungere gli obiettivi in materia di anticorruzione”. La seconda: il piano, cui sono tenute tutte le amministrazioni con più di 50 dipendenti, è pubblicato sul sito ed inviato al Dipartimento per la funzione pubblica, col che la competenza su questo “piano-anche-anticorruzione” passa da un’autorità indipendente al Governo stesso; val la pena di ricordare, al riguardo, che la Convenzione ONU contro la corruzione, che vincola l’Italia, prevede che agli organismi deputati alla prevenzione della corruzione sia assicurata “l’indipendenza necessaria a permettere loro di esercitare efficacemente le loro funzioni al riparo da ogni indebita influenza”. La terza: con decreti di delegificazione, entro sessanta giorni, il Governo è chiamato ad “individuare e abrogare” gli adempimenti assorbiti nel “Piano integrato”.
(3) Una combinazione che tradisce l’intenzione di ridimensionare il Piano di prevenzione della corruzione e abolire poteri in materia dell’Anac? Il dubbio è parso più che legittimo, guardando al tenore della norma e alle intenzioni esplicitate dal PNRR, per quanto ora fugato dalle dichiarazioni che hanno accompagnato l’approvazione definitiva del testo.
Smontare la legge anticorruzione attraverso una delegificazione fatta con decreto legge pareva in effetti davvero troppo.
Ma a seguire questi indizi, riflettendo non ultimo sul destino che sta vivendo l’altro pilastro del sistema affidato all’Anac, il regime dei contratti pubblici, viene da pensare che davvero, decantando le magnifiche sorti e progressive della semplificazione, il Governo voglia rivedere in profondità l’impianto dell’anticorruzione, con una evidente perdita di centralità della sua Autorità.
Questo anche sostituendo un modello che faceva perno su elementi “esterni” (un’autorità indipendente, il controllo diffuso dei cittadini), con un modello centrato su controlli interni al sistema amministrativo: dall’anticorruzione-trasparenza all’audit-compliance, in un disegno più centralistico e meno “aperto”. Va esplicitamente in questa direzione, d’altra parte, il PNRR, che nel costruire la “governance” del Piano individua una struttura di controllo interno, riconducibile alla Ragioneria generale, orientata “alla prevenzione, individuazione e contrasto di gravi irregolarità quali frodi, casi di corruzione e conflitti di interessi nonché a scongiurare potenziali casi di doppio finanziamento”.
Ma anticorruzione e trasparenza sono, e sono stati in questi anni, ben più che un sistema di controlli interni e di protezione dalle frodi: l’anticorruzione ha rafforzato la trasparenza intesa come “controllo diffuso” dei cittadini, ma anche come “partecipazione al dibattito pubblico”, l’integrità e l’imparzialità dei funzionari, l’accountability, l’etica pubblica. E affidare questi compiti ad un’Autorità indipendente ha significato non solo proteggere questa funzione, come è stato a lungo possibile anche grazie all’autorevolezza dei suoi componenti, ma anche consentirne quell’efficacia che in un sistema con forti autonomie territoriali non poteva essere garantita dal centro statale. L’autorevolezza dell’Autorità ha, non ultimo, negli anni che abbiamo alle spalle in questo decennio che ci separa dalla legge 190, permesso lo sviluppo di un discorso pubblico sulla corruzione dai tratti più maturi, il consolidarsi di una cultura dell’anticorruzione.
Il che non significa, che il sistema vada considerato immutabile, o il migliore dei mondi possibili. Ne vanno certo ribadite le virtù, basti pensare che dall’introduzione della legge anticorruzione l’Italia ha recuperato numerose posizioni nelle classifiche di corruzione: era 72° nel 2012, 51° nel 2019. Senza tacere i segnali di perdita di slancio, dimostrato dal fatto che proprio nell’ultimo anno questa tendenza al miglioramento si è interrotta, con la perdita di due posizioni.
Proprio perché è condivisibile l’affermazione del Presidente dell’Anac (“dalla credibilità della legislazione anticorruzione e dell’assetto istituzionale che presidia le regole in materia dipende la credibilità del Paese agli occhi degli investitori istituzionali”), spetta al Parlamento ed al Governo, nel quadro delle strategie di riforma, operare per rafforzare, se del caso anche con soluzioni di semplificazione, il sistema dell’anticorruzione e la sua autorità, favorendo il superamento di momenti di crisi e di fragilità. Sgombrando il campo da una serie di ombre che hanno accompagnato le stagioni più recenti e si sono addensate con queste ultime vicende.
L’analisi è del tutto condivisibile e stupisce il silenzio assordante sul tema. Si è parlato solo delle norme in materia di appalti, ma altrettanto grave è l’ idea di smontare alcuni pilastri fondamentali della legge anticorruzione. Viene da chiedersi cosa ne penseranno le istituzioni europee.
Complimenti, analisi molto interessante!!