Prime riflessioni sul concetto di sicurezza urbana attraverso la prospettiva di genere

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di Gloria Mancini Palamoni

Questo post integra l’intervento programmato all’Incontro del Gruppo di San Martino tenutosi all’Università di Cagliari il 16-17 maggio 2024.

Le continue trasformazioni del contesto economico e sociale inducono a riflettere sui confini e sui contenuti del concetto di sicurezza urbana. Mutando la prospettiva di osservazione e ponendo al centro della questione il benessere sociale, il concetto si arricchisce, specie in relazione all’effettiva fruizione collettiva e in ottica inclusiva di ogni spazio cittadino. Da questo punto di vista, l’approccio di genere diventa la lente attraverso la quale, da un lato, misurare la percezione della sicurezza urbana rispetto al parametro costituzionale di eguaglianza, dall’altro, interrogarsi circa l’adeguatezza degli strumenti amministrativi a rispondere a tali esigenze.

I presupposti: la percezione di sicurezza e l’urbanistica femminista. Il punto di partenza che conduce ad una espansione del concetto di sicurezza urbana è costituito dall’osservazione di due dati che dimostrano come la prospettiva del benessere sociale contribuisca ad arricchire di contenuti tale concetto.

Il primo dato è di natura statistica. Il Rapporto ISTAT sul BES – Benessere equo e sostenibile 2023, attraverso l’analisi di un ampio set di indicatori, descrive l’insieme degli aspetti che concorrono alla qualità della vita dei cittadini. Ogni capitolo del Rapporto corrisponde ad una diversa dimensione del benessere. Tra questi, il capitolo 7 è dedicato alla sicurezza.

Di particolare interesse è l’indicatore della percezione di sicurezza tra le persone di 14 anni o più quando camminano al buio da sole nella zona in cui vivono.

Nonostante tale percezione nel 2023 sia (in termini complessivi) in crescita rispetto al 2019, essa non è uniformemente distribuita nella popolazione, ma varia secondo il genere, l’età e il titolo di studio.

Se quasi tre quarti degli uomini percepiscono un senso di sicurezza camminando da soli nella zona in cui vivono quando è buio, le donne che si sentono sicure, a parità di condizioni, sono solo poco più della metà (52,1%) e, nell’ultimo anno, il divario tra uomini e donne è cresciuto per l’aumentare della percezione di sicurezza tra gli uomini. La differente percezione tra i generi, a sua volta, prescinde dall’età, dal titolo di studio e dalla macro area territoriale, sebbene emergano differenze significative rispetto alla dimensione del comune di residenza: si sentono più sicure, percepiscono un minor rischio di criminalità e un minor degrado sociale ed ambientale le persone residenti nei comuni fino a diecimila abitanti, rispetto a quelle residenti nei comuni di grandi dimensioni.

Il secondo dato riguarda i temi della c.d. urbanistica di genere. La letteratura urbanistica da tempo dimostra un uso differenziato dello spazio pubblico in base al genere e sostiene come le donne vivano lo spazio pubblico con maggiori limitazioni e disagio e minore libertà vedendosi spesso costrette a variare i percorsi quotidiani, gli orari e i luoghi che frequentano per paura o per percezione di insicurezza.

Lo spazio urbano dunque non è neutro e lo svolgimento della vita delle donne negli spazi pubblici non può dirsi uguale a quella degli uomini. Gli urbanisti pensano la città come la concreta rappresentazione della società (e delle sue diseguaglianze) e la mancata considerazione delle donne nella pianificazione degli spazi urbani ripropone quella struttura sociale rigida che porta con sé la loro esclusione dallo spazio pubblico. Fin dalla sua concezione, infatti, la città è stata ideata in ottica prevalentemente maschile, orientata a soddisfare i bisogni e le aspettative degli uomini (l’uomo lavora, la donna si dedica alle attività di cura). La collocazione dei servizi e delle strutture e le politiche urbane sono state progettate secondo criteri riflettenti una dimensione univoca della vita cittadina trascurando esperienze e necessità specifiche delle donne e generando spazi urbani funzionali per alcuni, inadeguati per altre/ə, contribuendo a sviluppare differenze di genere nella fruizione dei beni comuni e dei servizi offerti (analogamente al modello le modulor di Le Corbusier). Affiora pertanto l’urgenza di ideare e ripensare l’intera città in funzione anche delle esigenze quotidiane delle donne (e delle minoranze) che prendono parte alla vita produttiva e sociale, frequentando in qualsiasi orario ogni spazio cittadino, attraverso una pianificazione e co-progettazione di genere che presuppone concretamente l’ascolto e la comprensione dei loro bisogni e, dunque, l’effettiva partecipazione ai processi decisionali.

Il punto di approdo: il concetto di sicurezza urbana in chiave sociale. Da questi punti di partenza emerge come siano insiti al concetto di sicurezza urbana una pluralità di significati e come sia stretta l’intersezione tra questa e le dinamiche di genere, dimensioni che si influenzano tra di loro. Al significato di sicurezza urbana come ordine pubblico si affianca dunque quello di benessere sociale. Una lettura così ampia della nozione impone la ricerca di nuovi strumenti per la sua attuazione. Limitarsi agli strumenti amministrativi tradizionali (si pensi alle ordinanze sindacali), spesso adottati anche in ottica emergenziale, finirebbe per legittimare poteri fortemente discrezionali che da sempre caratterizzano i provvedimenti amministrativi attraverso i quali la c.d. funzione di polizia dello Stato di manifesta.

Diversa è pertanto la prospettiva che si apre leggendo la nozione di sicurezza urbana in chiave sociale, ossia in senso funzionale al benessere e al miglioramento della qualità della vita di chi abita le città. Questa interpretazione deriva, peraltro, dal dato positivo: l’art. 4 del d.l. n. 14 del 2017 definisce la sicurezza urbana come il bene pubblico afferente «alla vivibilità e al decoro delle città, da perseguire anche attraverso interventi di riqualificazione, anche urbanistica, sociale e culturale, e recupero delle aree o dei siti degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione della cultura del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile, cui concorrono prioritariamente, anche con interventi integrati, lo Stato, le Regioni e Province autonome di Trento e di Bolzano e gli enti locali, nel rispetto delle rispettive competenze e funzioni».

Da questo punto di vista, l’azione autoritativa di repressione contribuisce a definire solo parzialmente la sicurezza urbana, rappresentando la parte di un concetto da intendersi in senso più ampio. La norma richiamata accorda in altri termini un’espansione del concetto di sicurezza urbana in cui la dimensione organizzativa risulta prevalentemente verticalizzata e rimessa all’autorità pubblica (come ad es. nel caso dei patti tra prefetto e sindaco) confermando quella estensione di autorità pocanzi accennata espressa in primo luogo attraverso la limitazione delle libertà altrui.

Nella ricerca di strumenti adeguati al nuovo concetto di sicurezza urbana spicca il rafforzamento degli istituti della partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini attivi, auspicabile soprattutto in una prospettiva preventiva tesa al riequilibrio delle tensioni tra autorità e libertà.

Gli orizzonti: la valutazione di impatto di genere e l’ampliamento della funzione urbanistica. Due sono gli orizzonti principali verso i quali queste considerazioni mi pare stiano conducendo.

Il primo è di ordine generale e mira alla realizzazione della città inclusiva: aumentando la percezione di sicurezza in capo alle donne, aumenta la percezione di sicurezza complessiva, a vantaggio di tutti coloro che vivono le città. La lente di genere non vuole essere da preferire, né apparire escludente, non intende mettere in competizione gli interessi, ma tendere a disegnare un approccio partecipativo forte grazie al quale non solo le istanze del mondo femminile, ma anche quelle di tutte le categorie meno rappresentate nei processi decisionali di progettazione e pianificazione delle città sono marginalizzate. La prospettiva femminista mira a fornire una visione condivisa attraverso percorsi partecipati (a Vienna e a Barcellona sono stati fatti esperimenti di questo tipo, nei quali interi quartieri sono ripensati a misura delle donne, e sperimentazioni simili sono in corso a Milano e Bologna) in relazione ai quali – per non rischiare ulteriori emarginazioni sociali – appaiono utili meccanismi di valutazione di impatto di genere tesi a verificare gli effetti delle scelte assunte in ambito urbanistico e attività di monitoraggio costante al fine di orientare in senso inclusivo le scelte di progettazione della città nella sua totalità.

Il secondo aspetto, fortemente correlato al precedente, incide sul ruolo delle amministrazioni locali nell’ambito delle quali devono essere incrementate le competenze. La necessità di contemperare esigenze molteplici e talvolta contrapposte nella complessità dei contesti urbani risente della rigidità delle forme organizzative. L’aspirazione in questo senso è nella direzione di una governance urbana policentrica e nel superamento di strumenti di partecipazione debole, come le osservazioni, che privilegino l’ascolto delle categorie di cittadini solitamente meno rappresentati per il contrasto ai bias di genere.

Nell’idea di pianificazione urbanistica inclusiva e accogliente la garanzia della sicurezza urbana rileva in termini di benessere sociale divenendo uno dei fini ai quali aspirare.

Da questo punto di osservazione, da una parte, gli strumenti partecipativi possono essere letti nel prisma dei diritti che identificano il c.d. diritto alla città e in particolare come diritto partecipativo all’uso degli spazi urbani secondo le esigenze della collettività.

Dall’altra parte, questa impostazione conferma la necessità di un ripensamento della funzione urbanistica sotto molteplici punti di vista. La funzione urbanistica si è già arricchita di contenuti (comprendendo ad es. anche la rigenerazione urbana), ma, al contempo, mostra la necessità di adattarsi ai mutamenti, divenendo funzionale alle finalità e ai valori (anche immateriali) che in un dato periodo storico appaiono meritevoli di considerazione, così superando l’idea di una dimensione solo fisica della città e del territorio (da urbs a civitas) ed in piena attuazione dell’art. 3 Cost. e della effettiva parità tra i generi.

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