Ridefinire l’America: il XIV Emendamento tra storia e politica
di Graziella Romeo
Università Bocconi
Tra gli ordini esecutivi siglati nel giorno del giuramento del presidente Trump – simboli dell’urgenza con la quale la “nuova era” si impone sugli Stati Uniti – figura Protecting the Meaning and Value of American Citizenship (disponibile Qui). Il titolo preannuncia la svolta interpretativa impressa dalla nuova presidenza alla prima sezione del XIV emendamento, che sancisce il principio dello ius soli per l’acquisizione della cittadinanza. La clausola recita: “All persons born or naturalized in the United States, and subject to the jurisdiction thereof, are citizens of the United States and of the State wherein they reside. No State shall make or enforce any law which shall abridge the privileges or immunities of citizens of the United States; nor shall any State deprive any person of life, liberty, or property, without due process of law; nor deny to any person within its jurisdiction the equal protection of the laws”. Il Congresso, in attuazione della disposizione costituzionale, ha introdotto una disposizione nello US Code che prevede che “una persona nata negli Stati Uniti e soggetta alla loro giurisdizione è un cittadino degli Stati Uniti dalla nascita” (8 U.S.C. 1401).
Il XIV Emendamento è una delle disposizioni che più sintetizzano la storia costituzionale americana. Adottata su impulso e appassionato sostegno del Presidente Lincoln all’indomani della guerra civile, la clausola rappresenta la definitiva affermazione non solo di una cittadinanza federale, ma anche di un principio di eguaglianza (the equal protection of the law) che prometteva di tutelare chiunque fosse soggetto alla giurisdizione degli Stati Uniti e, dunque, i cittadini americani indipendentemente dal colore della pelle. L’order richiama questa storia, precisando che l’Emendamento, nelle intenzioni dei costituenti, era la risposta alla ignominiosa sentenza Dredd Scott v. Sandford (60 U.S. (19 How.) 393 (1857)) in cui la Corte Suprema aveva interpretato la Costituzione nel senso di escludere le persone di origine africana dalla cittadinanza esclusivamente in base alla loro razza. La vicenda scaturiva dal tentativo di Dredd Scott di acquistare la libertà per sé e per la sua famiglia in un momento storico in cui alcuni Stati, per i quali egli aveva transitato per volontà del suo “padrone”, avevano introdotto l’abolizione della schiavitù in costituzione. La Corte nega il privilege of United States citizenship con motivazioni palesemente razziste che equiparano gli schiavi ai beni mobili di proprietà dei “veri” cittadini americani. Così, la tutela del diritto di proprietà di cui al V Emendamento impedisce a Dredd Scott di rivendicare la libertà dalla schiavitù.
Sulla base di una ricostruzione storica, opportunisticamente orientata, che collega il XIV Emendamento solo alla contingente questione razziale americana, la presidenza riscrive sostanzialmente la clausola, dichiarando che essa non istituisce un diritto universale alla cittadinanza condizionato al solo fatto della nascita sul territorio statunitense.
Dunque, l’order decreta che la cittadinanza non si estende automaticamente alle persone nate negli Stati Uniti: a) quando la madre si trovava illegalmente negli Stati Uniti e il padre non era cittadino statunitense né residente permanente al momento della nascita della persona in questione; oppure b) quando la presenza della madre negli Stati Uniti al momento della nascita della persona in questione era legale ma temporanea e il padre non era cittadino statunitense né residente permanente al momento della nascita della persona in questione. Di conseguenza, dal 20 gennaio, nessun dipartimento o agenzia del governo degli Stati Uniti è autorizzato a rilasciare documenti che riconoscano la cittadinanza statunitense, né ad accettare documenti rilasciati da governi statali, locali o altre autorità che intendano riconoscere la cittadinanza statunitense alle persone così individuate.
Il partito repubblicano, da ormai un ventennio, solleva ciclicamente il tema dello ius soli. Infatti, la sua applicazione universale è responsabile, per alcuni, di incentivare l’immigrazione illegale o quella opportunistica, finalizzata cioè a partorire in territorio americano per garantire l’acquisto della cittadinanza del figlio, il quale a sua volta assicurerebbe un titolo di soggiorno legale alla madre. Gli anchor babies, i “bambini àncora”, sono stati dunque identificati come il lato patologico della garanzia costituzionale dello ius soli. Fino alla presidenza Trump, tuttavia, il dibattito era rimasto nell’alveo parlamentare e si era spinto sino a una proposta di revisione del XIV Emendamento (si pensi al Citizenship Reform Act of 2005 (H.R. 698)). L’ordine esecutivo è, da questo punto di vista, un’operazione costituzionalmente temeraria e politicamente audace. Riscrive una clausola costituzionale, eludendo le procedure di revisione e, dunque, il confronto congressuale che avrebbe senz’altro suscitato anche reazioni protettive verso l’interpretazione progressivamente invalsa della clausola costituzionale.
Il provvedimento presidenziale, infatti, gioca con l’ambiguità della ricostruzione storica proposta. Che il XIV Emendamento si inquadri nell’ambito di una più complessiva operazione politico-costituzionale con la quale Lincoln intendeva imprimere una svolta alla “questione razziale” è una verità storicamente accertata. Cionondimeno, il XIV Emendamento rifletteva anche la tradizione di common law, secondo la quale la nascita sul territorio di uno stato è sufficiente a fondare il riconoscimento della cittadinanza (sul punto v. S.L. Rierson, From Dred Scott to Anchor Babies: White
Supremacy and the Contemporary Assault on Birthright Citizenship, in Georgetown Immigration Law Journal, Vol. 38, 2023, 3-69). L’abominazione della sentenza Dredd Scott era lampante proprio perché, pur di mantenere in piedi la consuetudine schiavista in un’epoca di trasformazione costituzionale, la Corte Suprema aveva sostenuto che cittadini fossero solo i bianchi nati negli Stati Uniti da «persons, who were at the time of the adoption of the Constitution recognised as citizens in the several States, [and who] became also citizens of this new political body», così introducendo l’elemento della trasmissione dello status come condizione per l’acquisto della cittadinanza. In questo contesto, l’adozione del XIV Emendamento, dunque, riconduceva l’acquisto della cittadinanza negli Stati Uniti nell’alveo del common law e non rappresentava solo, come questa presidenza intende far credere, un altro modo per sancire il divieto di schiavitù (il quale del resto era contenuto nel XIII Emendamento).
L’order presidenziale del gennaio 2025 riprende la logica del ridimensionamento dello ius soli, escludendo dalla sua applicazione le persone che non possano vantare un radicamento negli Stati Uniti e, in particolare, i nati da genitori illegalmente presenti sul territorio americano. Questa scelta si presta a diverse critiche.
Lo strumento dell’executive order, il cui obiettivo è orientare l’interpretazione del XIV Emendamento operata dai funzionari federali e, indirettamente, statali – attraverso il divieto di riconoscere, ai fini dell’acquisto della cittadinanza, atti di provenienza statale o locale – è di dubbia costituzionalità. L’executive order si impone come una sorta di circolare interpretativa di una clausola costituzionale, della legge attuativa e della giurisprudenza applicativa. La sua legittimità costituzionale è stata contestata da una serie di associazioni per la tutela dei diritti civili dei migranti in Maryland, nello Stato di Washington e in New Hampshire. In particolare, a pochi giorni di distanza dall’iniziativa presidenziale, l’American Civil Liberties Union (ACLU) ha citato in giudizio il presidente Trump presso la Corte Distrettuale del New Hampshire, con un atto cofirmato dalle sezioni statali ACLU di New Hampshire, Maine, Massachusetts e da un’ampia rete di associazioni rappresentative di minoranze e di difesa dei valori democratici (Asian Law Caucus, State Democracy Defenders Fund, Legal Defense Fund, Indonesian Community Support, League of United Latin American Citizens (LULAC) e Make the Road New York). Secondo l’ACLU, l’order presidenziale viola apertamente la Costituzione, nell’interpretazione storicamente accreditata e confermata dalla giurisprudenza della Corte Suprema. Il riferimento è soprattutto a un precedente del 1898, United States v. Wong Kim Ark 169 U.S. 649. In questo caso, la Corte Suprema era chiamata a rispondere a un quesito che atteneva all’interpretazione del XIV Emendamento: un bambino nato negli Stati Uniti da genitori cittadini cinesi legalmente residenti permanenti negli Stati Uniti è cittadino statunitense ai sensi della clausola costituzionale? La Corte, in quell’occasione, spiegò che il XIV Emendamento doveva essere interpretato alla luce del common law. Dopo estese citazioni della giurisprudenza inglese e di von Dicey, il Collegio concluse:
«As appears upon the face of the amendment, as well as from the history of the times, this was not intended to impose any new restrictions upon citizenship, or to prevent any persons from becoming citizens by the fact of birth within the United States who would thereby have become citizens according to the law existing before its adoption. It is declaratory in form, and enabling and extending in effect. Its main purpose doubtless was, as has been often recognized by this court, to establish the citizenship of free negroes, which had been denied in the opinion delivered … in Dred Scott v. Sandford … But the opening words, “All persons born,” are general, not to say universal, restricted only by place and jurisdiction, and not by color or race».
Il precedente della Corte, dunque, richiamava la storia dell’adozione del XIV Emendamento, ma al contempo chiariva che essa si inseriva in una tradizione che interpreta la cittadinanza come la creazione di un legame di fedeltà tra il sovrano (sia esso il re della tradizione inglese o il popolo americano) e l’individuo al momento della nascita.
Evidentemente aderendo a questa ricostruzione, il giudice distrettuale del New Hampshire Joseph N. Laplante ha adottato una preliminary injuction, riconoscendo il rischio di un “irreparable harm” causato dall’iniziativa presidenziale e il fumus boni iuris dell’interpretazione costituzionale fornita dalla parte attorea. Si tratta di un provvedimento cautelare che non definisce il giudizio, ma si limita a sospendere l’applicazione dell’order nelle more del procedimento giudiziario. Peraltro, la decisione del giudice del New Hampshire ricalca analoghe conclusioni degli altri giudici, del Maryland e dello Stato di Washington, aditi sulla medesima questione e con analoghe motivazioni.
La presidenza Trump non è nuova a dinamiche conflittuali con il potere giudiziario, che in passato aveva già contrastato iniziative altrettanto controverse, come il cosiddetto Travel Ban, il provvedimento che vietava l’ingresso negli Stati Uniti a determinate categorie di stranieri. In questo nuovo mandato, tuttavia, la presidenza sembra adottare una strategia più articolata. A ben vedere, l’order, con quel richiamo retorico all’ignominia di Dredd Scott e alla vergognosa storia della schiavitù, realizza appieno un fenomeno studiato dalla dottrina (G. de Búrca, K.G. Young, The (mis)appropriation of human rights by the new global right: An introduction to the Symposium, International Journal of Constitutional Law, Volume 21, Issue 1, 2023, p. 205) ossia l’appropriazione del linguaggio e degli argomenti dei movimenti antidiscriminatori e progressisti da parte di attori politici le cui finalità sono apertamente antipluraliste e suprematiste. La presidenza sta cercando di imporre un’interpretazione della clausola del XIV Emendamento che privilegia una concezione etnica del demos, utilizzando argomentazioni che, in origine, servivano a negare il legame tra origine etnica e lealtà agli ideali repubblicani. Questa strategia è stata facilmente smascherata dai giudici federali, ma, qualora la questione arrivasse alla Corte Suprema, nell’attuale composizione, la strategia argomentativa presidenziale potrebbe avere concrete possibilità di successo.
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