Se la famiglia rimane l’unica garanzia di cura: quali diritti per il caregiver familiare?
di Teresa Andreani
La famiglia è un pilastro del sistema di welfare italiano. Nel nostro paese, a causa della carenza dei servizi domiciliari, i bisogni delle persone non autosufficienti sono in larga parte soddisfatti dalla cura familiare che, come ricorda Chiara Saraceno, ha a lungo legittimato un modello di famiglia fondato sulla differenziazione dei ruoli di genere.
Secondo alcune stime, sono almeno 7 milioni i caregiver familiari che rispondono ai bisogni di cura di un familiare non autosufficiente e lo supportano nell’esercizio delle sue libertà e diritti fondamentali. Se guardata più da vicino, l’assunzione del ruolo di cura non è né volontaria, poichè necessitata dall’assenza di alternative, né gratuita, in quanto spesso inconciliabile con il lavoro e fortemente lesiva del benessere psico-fisico.
Come evidenziato in un recente post, lo squilibrio nel rapporto tra l’offerta pubblica di servizi domiciliari e la fornitura di cura familiare è particolarmente profondo nel campo dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti. Sono almeno 3,8 milioni le persone ultrasessantacinquenni che presentano una grave compromissione dell’autonomia, a causa della quale sono aiutate da uno o più familiari nell’esercizio delle attività della vita quotidiana.
In questo contributo provo a gettare luce, a partire dal concetto di cura, sulle attuali prospettive di evoluzione, all’interno e oltre le riforme del PNRR, di due dimensioni dell’assistenza: da un lato, il rafforzamento dei servizi domiciliari pubblici e, dall’altro, il riconoscimento del ruolo di cura del caregiver familiare e della sua della condizione giuridica.
1. La cura delle persone non autosufficienti
Innanzitutto, mi soffermo un momento sulla riemersione e sull’affermazione del concetto di cura a livello internazionale, europeo e nazionale come nuovo obiettivo politico.
Durante la pandemia, l’etica della cura, fiorita a partire dagli gli anni Ottanta, ha trovato nuovo vigore nel pensiero femminista. Tra le molte voci, quella degli autori del Manifesto della Cura ha indicato nella cura il mezzo di realizzazione della giustizia e dell’uguaglianza. Durante l’esperienza pandemica, il concetto di cura è tornato ad illuminare la strada del rinnovamento etico e politico del sistema di welfare, delle relazioni umane e della società tutta: come ricorda J. Tronto, ciò è avvenuto proprio a partire dalla presa d’atto della vulnerabilità al rischio di discriminazione, istituzionalizzazione o abbandono vissuta dalle persone anziane non autosufficienti.
Il concetto di cura si è allora affermato nello spazio politico globale: sul piano internazionale, per esempio, è visibile nella bozza dell’Accordo sulla preparazione alle future pandemie in discussione all’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma è a livello europeo che, con il lancio della Strategia Europea per la Cura, ritengo abbia assunto una portata dirompente. Nei prossimi anni, tutti gli Stati Membri dell’Unione sono chiamati, infatti, a rafforzare l’offerta dei servizi domiciliari, nonchè a tutelare i lavoratori di cura informali e professionali, al fine di costruire un sistema di cura integrata e a lungo termine che sia accessibile e di qualità.
Come ho cercato di dimostrare in un altro post (p.3), in Italia il concetto di cura ha recentemente trovato declinazione nella legge delega 33 del 2023. I principi e gli strumenti previsti dalla legge ruotano precisamente intorno a questo dato di realtà: i bisogni della persona non autosufficiente sono multidimensionali e duraturi e, per questa ragione, l’assistenza deve essere integrata e continuativa.
2. L’assistenza domiciliare: tra carenza dell’offerta pubblica e inappropriatezza del modello di intervento
Partiamo dunque dall’assistenza domiciliare che, se fosse sufficientemente finanziata e adeguata ai bisogni della popolazione anziana non autosufficiente, consentirebbe di superare la rigida alternativa tra la familizzazione dei bisogni di cura e il ricorso all’istituzionalizzazione.
Il principale servizio di assistenza domiciliare attivo nel nostro paese, e rientrante nei LEA sanitari, è l’ADI, attualmente oggetto di riforma sotto più profili: tra gli interventi in corso, però, non mancano notevoli incongruenze.
Sul versante dell’allargamento dell’offerta, il DM 77 del 2022 pone l’obiettivo della copertura del 10% della popolazione entro il 2026. Allo stato attuale, questo obiettivo appare difficile da raggiungere: tra le molte ragioni, prima fra tutte è la carenza del personale sanitario. Anche qualora l’offerta pubblica fosse effettivamente incrementata, d’altra parte, la percentuale rifletterebbe in ogni caso il dato medio nazionale, celando la persistenza delle gravi disparità territoriali esistenti nell’erogazione e nell’accesso al servizio.
Diversamente, sul piano del modello di intervento, il Decreto è silente. Nella legge 33 del 2023, invece, è prevista l’integrazione tra l’ADI e l’ancor più residuale servizio di assistenza domiciliare comunale (SAD). La trasformazione dei presupposti dell’intervento domiciliare, infatti, è inquadrata all’interno dei nuovi e significativi principi di unitarietà, adeguata intensità e appropriatezza. In questo caso, l’obiettivo è coordinamento tra due modelli difformi: il primo, di natura sanitario-infermieristico e il secondo, volto a contrastare svantaggio sociale. Anche sotto questo aspetto, il D.lgs. 29 del 2024, attuativo della delega, è deludente: si limita, infatti, a rinviare alle linee-guida nazionali per l’integrazione operativa degli interventi sociali e sanitari domiciliari, che dovranno predisporre delle soluzioni operative.
3. La cura familiare: tra mancato riconoscimento giuridico e assenza di nuovi diritti per il caregiver familiare
Passiamo ora alla dimensione prevalente dell’assistenza alle persone anziane non autosufficienti, quella familiare, che è oggetto di diverse previsioni all’interno delle riforme in corso e, inoltre, è attualmente investita da numerose disegni di legge d’iniziativa parlamentare.
Alcune disposizioni, sia nel DM 77/2022 che nel D.lgs. 29 del 2024, riconoscono il ruolo del caregiver familiare nel sistema di welfare e, sulla base di ciò, promuovono il coordinamento dell’attività di cura prestata con i servizi sanitari, sociosanitari e socialiA più riprese,, è disposta la sua partecipazione nella definizione e attuazione del Piano di Assistenza Individuale (PAI) e, contestualmente, sono previste misure per la sua formazione e professionalizzazione.
A mio avviso, guardate nel loro insieme, queste disposizioni si limitano a riconoscere, sostenere e valorizzare il ruolo di cura dal caregiver familiare in quanto indispensabile per la garanzia dell’esercizio dei diritti da parte della persona non autosufficiente, nella direzione peraltro già ribadita in un parere dal Comitato ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità. Nessuna attenzione, invece, è posta alla necessità di tutelare il benessere del caregiver familiare, nè tantomeno è aperta alcuna prospettiva dell’attribuzione di nuovi diritti.
Lo stesso può dirsi dei numerosi disegni di legge di iniziativa parlamentare, attualmente sottoposte all’esame del Tavolo tecnico istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. A dieci anni dalla prima legislazione regionale, quella emiliano-romagnola in materia di riconoscimento e sostengo del caregiver familiare, che ha inaugurato un modello regolatorio poi seguito da ben dieci regioni, le proposte di legge statale in discussione non sembrano andare oltre il mero riconoscimento del suo ruolo di cura.
Salvo alcune eccezioni, infatti, non trova il giusto spazio l’introduzione di misure e servizi finalizzate a riconoscere il caregiver familiare come titolare di nuovi diritti in ambito lavorativo (per esempio, flessibilità dell’orario di lavoro, congedi retribuiti, strumenti di conciliazione vita-lavoro), sanitario e sociosanitario (tra i quali, servizi di valutazione delle sue condizioni di salute, di aiuto psicologico e interventi di sollievo) e previdenziale (in particolare, specifiche forme di pensionamento e riconoscimento di contributi figurativi per il caregiver non lavoratore), al fine di connotarne e rafforzarne la specifica condizione giuridica.
4. Qualche conclusione aperta
Questa breve riflessione conferma che le prospettive di rafforzamento delle due dimensioni inscindibili dell’assistenza, i servizi domiciliari, da un lato, e il riconoscimento del ruolo di cura e della condizione giuridica del caregiver familiare, dall’altro, sono quantomai incerte.
Nonostante la permanente natura familista del sistema di welfare italiano, però, la non autosufficienza non è più considerata una questione privata da relegare alla sola organizzazione di poteri e relazioni all’interno della famiglia: imponendo la necessità dell’intervento delle istituzioni pubbliche, la pandemia l’ha infatti resa una questione pubblica.
Per questo motivo, mentre si attende il lento rafforzamento dei servizi domiciliari pubblici, non resta che auspicare la crescita dell’attenzione politica sulla necessità di istituire un sistema di diritti del caregiver familiare.
Questo nuovo sistema, rivendicato sempre con maggiore forza dall’associazionismo di rappresentanza, dovrà incontrare adeguatamente le esigenze di tutela di coloro che, esercitando ogni giorno il dovere costituzionale di solidarietà, sostengono il peso della carenza dei servizi pubblici comprimendo le proprie libertà e i propri diritti fondamentali.