Università, ricerca e geopolitica dopo il 7 ottobre 2023

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di Elisa Cavasino

1. Vecchi conflitti, nuova geopolitica: l’impatto sulle Università

Ormai da settimane sono in corso azioni di protesta negli Atenei italiani mosse dal riaccendersi della questione palestinese dopo il 7 ottobre 2023.

Così, al dibattito sui limiti alla libertà di riunione e di manifestazione del pensiero e ai poteri di ordine pubblico (su cui Chiara Tripodina), si è aggiunta la discussione sul ruolo dell’università, della scienza e della ricerca nelle trasformazioni geopolitiche in corso. Per la verità questa discussione si era già aperta con la crisi Russo-Ucraina, che aveva già visto assumere agli Atenei posizioni anti-russe di difficile compatibilità con gli articoli 21, 33 e 34 Cost. (la cancellazione di un ciclo di seminari su Dostoevskij).

Molti hanno censurato le proteste pro-Palestina denunciando che presentano tratti evidenti di anti-semitismo e molti studenti si sentono minacciati nella loro stessa incolumità fisica oltreché nella possibilità di frequentare e di accedere alle università italiane.

Le proteste italiane ed europee vengono spesso assimilate ai movimenti statunitensi che hanno condotto a decine di arresti a Yale, Columbia e ad NYU.

Ma lì le proteste sono cresciute in un contesto in cui è in atto un pesantissimo attacco alle più prestigiose università statunitensi. Le rettrici di alcune di queste (MIT, Harvard, Penn University) nel corso di una audizione al Congresso (Hearing del 5 dicembre 2023, spec. 1:29) sono state accusate di aver tenuto un atteggiamento tollerante nei confronti di atti e attività studentesche di natura antisemita. Nel contesto di quella hearing i repubblicani denunciavano che il corpo accademico di quelle Università fosse ideologicamente non pluralista. Nelle settimane successive la rettrice di Harvard si è dimessa anche in conseguenza di quell’audizione.

La complessità e la gravità dei problemi induce a non darne una lettura semplificata e polarizzata né ad indugiare in parallelismi fra l’accademia e la comunità studentesca del Novecento e quella del XXI secolo o fra sistema universitario statunitense ed italiano.

2. Oltre le finalità costituzionali: forze esterne e nuove finalità delle Università. Come è accaduto?

In Italia si discute, come si diceva, del ruolo degli Atenei nel contesto geopolitico. Così, la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane ha addirittura deliberato il 17 aprile 2024 delle linee guida denominate Buone prassi principi e proposte per affrontare nelle università italiane le tematiche delle crisi internazionali e umanitarie. La Crui, richiamando una recente Lectio Magistralis del Capo dello Stato, afferma che «le università possono rappresentare, attraverso un’azione di diplomazia scientifica, un veicolo per la costruzione della pace».

La questione va discussa considerando che la libertà della scienza come libertà-potere spettante agli accademici (Mazziotti di Celso), letteralmente dipende dalla presenza delle Università-Enti autonomi (artt. 2, 9, 33 Cost.).

Poiché le finalità costituzionali delle Università sono quelle di custodire e realizzare il processo di trasmissione del sapere (libertà d’insegnamento) e di formazione della comunità scientifica (libertà della ricerca scientifica), va verificato se accanto a queste finalità, le Università possano perseguirne ulteriori, individuate autonomamente o assegnate loro da leggi dello Stato.

Quest’ultima ipotesi è quella che si è storicamente realizzata, in quanto i limiti cui le leggi dello Stato hanno sottoposto le Università sono mutati in conseguenza del mutato rapporto fra scienza, società, sistemi economici e decisione politica.

La principale trasformazione riguarda il novero dei soggetti cui viene data voce nell’esercizio dell’autonomia universitaria: dalle Università del corpo accademico dei professori ordinari, dotati di prerogative di status che li differenziavano in modo netto dai funzionari pubblici, siamo passati alle università della comunità accademica che include nel governo degli Atenei tutti coloro che operano e partecipano alla vita universitaria: studenti, personale tecnico, amministrativo e bibliotecario, con i docenti sottoposti a sempre più intense forme di controllo, rendicontazione e valutazione delle loro attività. 

Questa progressiva trasformazione, da alcuni criticata (Livio Paladin 1988, Leopoldo Mazzarolli 1981 e 1997; Manlio Mazziotti di Celso 1980; Andrea Orsi Battaglini 1991), è stata rapidamente assimilata dal sistema universitario grazie alla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. n. 145 del 1985 e n. 1017 del 1988) ed a chi ha posto l’accento sul personalismo ed il comunitarismo nell’interpretazione dell’art. 33 Cost. (ad esempio Nicola Occhiocupo 1990).

La principale fonte di autonomia universitaria, gli Statuti degli Atenei italiani, riflette questi cambiamenti, tangibili nel progressivo «squilibrio tra forze esterne e organizzazione interna della scienza» che porta le Università a dover rispondere a «domande di utilità immediata della politica e dell’economia» (Andrea Orsi Battaglini 1991).

Da qui l’insistere degli Statuti di oggi sul trasferimento tecnologico, la ricerca applicata, il social engagement e l’idea che il finanziamento della ricerca debba dipendere dalla competizione per l’accesso a risorse finalizzate al perseguimento di specifici obiettivi determinati da soggetti pubblici e privati. Da qui anche l’idea che l’Università debba immaginare percorsi didattici e formativi che rispondano ai bisogni del territorio e degli stakeholders.

Insomma, l’Università italiana veniva già a configurarsi alla fine del Novecento come un’istituzione con funzioni socio-economiche ulteriori rispetto a quelle costituzionali, secondo un modello che la l. n. 240/2010 ha portato a compimento, ad esempio attraverso processi di accreditamento e valutazione degli Atenei che finiscono per condizionare a una varietà di finalità strumentali le funzioni della didattica e della ricerca. Il corpo accademico, ben consapevole della vasta rete di legami che stringeva l’Università, ha spesso, purtroppo, valorizzato in chiave politica l’appartenenza all’Istituzione.

3. La diplomazia scientifica. Dalle università istituzioni di una libertà-potere alle università-attori della geopolitica?

Oggi si vuole che le Università giochino un ruolo politicamente attivo nella costruzione della nuova geopolitica. Questo è ciò che chiedono gli studenti in protesta in Italia, con riferimento alla partecipazione degli Atenei italiani ad un bando del Ministero dell’Università (bando MAECI) che è l’effetto di un Trattato di cooperazione industriale, scientifica e tecnologica fra lo Stato italiano e lo Stato d’Israele (l. n. 154 del 2002).

Chi protesta ha assunto posizioni variegate. C’è chi chiede agli Atenei di non collaborare in alcun modo con Israele e chi mira ad evitare che si possano sviluppare tecnologie che possano avere anche un uso militare, rafforzando così la potenza militare israeliana (cd. tecnologie dual use). Gli Atenei italiani hanno risposto a queste sollecitazioni.

Il Senato accademico dell’Università di Torino ha deliberato di non partecipare al bando per ragioni di opportunità considerato il «protrarsi di situazioni di guerra a Gaza». Si è obiettato che così si rischia di arrecare un vulnus alla libertà di ricerca scientifica dei singoli ricercatori, che include la libertà di definire e consolidare rapporti di collaborazione con scienziati di tutto il mondo a prescindere dalle linee di politica estera o interna dello Stato di appartenenza (così la lettera di Susanna Terracini, componente del Senato Accademico dello stesso Ateneo, cfr. la sua intervista).

La vicenda torinese mostra con chiarezza che se l’Università assume l’immagine di soggetto politico del sistema Paese, è inevitabile che la stessa comunità accademica chieda deliberazioni agli organi di governo degli Atenei volte a funzionalizzare la libertà del singolo studioso a scopi comunitari, certamente “alti” ma pur sempre di natura politica.

Alcuni Statuti degli Atenei italiani oggi vigenti affermano che le Università debbano promuovere valori universali fra cui i diritti umani, la pace o la pacifica convivenza fra i popoli, l’ambiente e la sostenibilità (con varietà di accenti ad esempio gli Statuti dell’Università di Firenze, di Padova, di Bari, di Palermo). Si asseconda così l’idea che le funzioni costituzionali dell’Università possano essere orientate per rendere l’Istituzione uno strumento al servizio della geo-politica?

È probabile. Ma funzionalizzare l’Università e le sue funzioni costituzionali (custodire la libertà della scienza e della ricerca) a scopi geopolitici rischia di aggredire il fondamento stesso dell’autonomia universitaria: la sua strumentalità alla tutela della libertà della scienza e della ricerca dei singoli professori e ricercatori (artt. 9 e 33 Cost.).

Dunque, per quanto riguarda la cosiddetta “diplomazia scientifica”, se le previsioni di legge che legano linee di finanziamento della ricerca sulla cooperazione internazionale non sono compatibili con la Costituzione, l’obiettivo polemico dovrebbe riguardare quei trattati internazionali e le relative leggi di autorizzazione alla ratifica e gli ordini di esecuzione (art. 9 e 11 Cost. in particolare per il bando MAECI ed il relativo Trattato internazionale). Non è, invece, compatibile con la Costituzione pretendere che gli Atenei, per ragioni di opportunità politica, vietino a singoli ricercatori di partecipare ad un bando ministeriale in attuazione di trattati e leggi in vigore.

In modo sottile, alcuni Atenei investiti dall’onda della protesta studentesca (ad esempio, il Senato accademico dell’Università di Bari del 9 aprile 2024, a quanto risulta dalle esternazioni del Rettore) hanno deliberato di non partecipare al bando MAECI considerando che non erano giunte manifestazioni d’interesse da parte dei professori e dei ricercatori d’Ateneo. È un caso in cui si manifesta l’idem sentire fra comunità accademica e organi di governo attraverso il silenzio del corpo accademico dinanzi alle forti prese di posizione di altre parti della comunità accademica.

Quella del silenzio non è però la strategia auspicabile. Gli accademici non debbono rinunciare ad esprimersi su questioni politicamente sensibili, nel pieno esercizio della libertà di pensiero (art. 21 Cost.) e non debbono in tal caso incorrere in alcuna sanzione nello svolgimento delle funzioni ad essi affidate nelle Università. Ad esempio, è pienamente legittima e personalmente la ritengo anche condivisibile, la presa di posizione dei giuristi britannici su Gaza.

Si può anche auspicare che gli stessi organi di governo degli Atenei prendano posizione rispetto a crisi umanitarie in atto (Documento di Roma La Sapienza Sapienza per la pace e la libertà della didattica e della ricerca, 16 aprile 2024).

Di più, è ineccepibile che gli Organi di governo degli Atenei reagiscano a linee di politica della ricerca che non sembrano in linea con il quadro costituzionale, anche approvando mozioni da indirizzare agli organi d’indirizzo politico dello Stato (Mozione della Scuola Normale di Pisa). Anzi, quest’ultimo è il modello da seguire, perché soltanto così si rispettano al contempo l’autonomia degli Atenei, le sollecitazioni della comunità accademica, le libertà dei singoli ricercatori e si mira a proiettare dal basso l’orientamento emergente nell’esercizio dell’autonomia universitaria dentro l’indirizzo politico dello Stato e dentro i processi democratici che ne caratterizzano la formazione.

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